girotondo finito

Silvio Berlusconi? Senza di lui Micromega rischia di chiudere

Giovanni Sallusti

Scompare MicroMega, come annunciato ieri dalla stessa rivista, tre mesi dopo Silvio Berlusconi, e potete chiamarlo caso, ma è solo un altro modo di scorgere il legame tra i due eventi. La testata di “sinistra illuminista”, come l’ha sempre definita il suo creatore e direttore a vita Paolo Flores d’Arcais (con una certa temerarietà controintuitiva rispetto alle sanguinose evidenze anti-illuministiche del ‘900), aveva finito ben presto per diventare il polo di elaborazione dell’incessante ossessione antiberlusconiana della gauche, diciamo una versione colta e sistematica del Fatto. Non era stato sempre così: a innervare la sua fondazione, nel 1986, c’era anche un filone laico-libertario, forse un po’ settario, ma indubitabilmente anti-autoritario, che si smarrì inesorabilmente davanti all’apologia di Mani Pulite (che non a caso segnò la frattura tra Flores d’Arcais e il cofondatore Giorgio Ruffolo, socialista lombardiano). Il passaggio dai proclami voltairiani al tifo per la torsione dello Stato di diritto fu un attimo, MicroMega divenne irreversibilmente l’organo di legittimazione intellettuale del dipietrismo, quindi a ruota dell’antiberlusconismo peggio che militante, ontologico.

È morto «l’inventore del collasso della democrazia», scrisse Flores d’Arcais il giorno dei funerali del Cavaliere, che per lui è sempre stato Cavaliere Nero, amarcord mussoliniano, mafioso per definizione anche se mai per sentenza (con tanti saluti a Beccaria e all’illuminismo), addirittura «un criminale patentato», proprio così, nel giorno dell’addio, un accanimento su cadavere che nelle intenzioni del direttore doveva rappresentare una sorta di allucinata Piazzale Loreto intellettuale. Adesso, più modestamente, l’addio è il loro. Sempre Flores d’Arcais: «Da quando siamo nati come società autonoma, perdiamo tra 10 e 15 mila euro al mese. Fin qui siamo andati avanti grazie a una donazione di 100mila euro di un amico e a miei versamenti/prestiti alla società per complessivi 250mila euro. Non abbiamo altre risorse, da due mesi i redattori e i fornitori non vengono pagati, e dunque la prossima settimana cominceremo ad avviare le procedure per la liquidazione della società».

 



Unico «miracolo» possibile: se entro domenica 8 ottobre arriveranno «almeno cinquemila impegni» ad abbonarsi alla rivista, «andremo avanti». Un miracolo che gli auguriamo, perché pur non condividendo nulla di un percorso nato «contro i conformismi dominanti» e approdato al più tetro conformismo giacobino (fino a mortificanti esiti espressamente grillini, con tanto di dichiarazione di voto di Flores), vorremmo continuare a non comprare Micromega come atto di libertà, non come unica alternativa. Una voce in più ha un valore in sé, per dei liberali non folgorati sulla via della ghigliottina. La triste verità, però, è che la voce era diventata da tanto, troppo tempo un mero controcanto, l’Italia pensosa (che non vuol dire per forza pensante, anzi) contro Silvio «l’arcitaliano», epiteto onnipresente nei commenti della rivista. Onnipresente non a caso: è dura, senza l’arcitaliano. Troppo.