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Monfalcone capitale dell'islam estremista: ecco come ci si è arrivati

di Antonio Castro martedì 31 ottobre 2023

3' di lettura

Monfalcone, provincia di Gaza City? Su 1.700 immigrati di religione islamica solo 7 donne lavorano. Quante sono le piccole città italiane che fanno i conti con lo “scontro di civiltà” che profetizzava Oriana Fallaci all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle? Ma oggi l’interrogativo è: le norme sui ricongiungimenti familiari vanno riviste?

Il dibattito “alto”, politico, intellettuale archivia il tutto con uno scontro di civiltà. Più modestamente si assiste-forse ancora inconsapevolmente -ad una islamizzazione strisciante.
Che non presuppone integrazione. L’esempio delle banlieue francesi è sotto agli occhi. L’opinione pubblica francese ne discute ampiamente. Da Le Figaro a Le Monde è un botta e risposta di criticità. Eredità sì del colonialismo ma anche di un sistema di accoglienza che non regge più. La “disciplina Macron” oggi prevede, non a caso, il blocco alla frontiere.

BLOCCHI ALLE FRONTIERE
Il nodo adesso è il sistema di welfare occidentale. Insostenibile reggere questi ritmi. Tra gennaio e il 30 ottobre (dati Viminale), sono arrivati in Italia 143.789 persone. E parliamo di quelli identificati. Poi ci sono quelli che “transitano”, passano come fantasmi e se ne vanno verso il Nord Europa. Ma il problema oggi è di quelli che restano. Da anni i “decreti flussi” portano manodopera fondamentale per settori dove non si trovano braccia. «L’Italia avrà bisogno di 500mila immigrati regolari», nei «prossimi tre anni», aveva sintetizzato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida nel febbraio scorso.

Ma chi accogliere? Bisogna forse cominciare a porsi l’interrogativo del mondo che si porta in dote. Interrogativo che ha ben chiaro Marco Dreosto, senatore leghista eletto in Friuli Venezia Giulia. Dreosto, ad inizio legislatura, ha presentato una «proposta di legge sui ricongiungimenti familiari». Vogliamo «modificare la regolamentazione di questo fenomeno», spiega a Libero l’esponente della Lega, visto che «rischia di essere fuori controllo, per gli ingenti flussi migratori degli ultimi anni». L’intenzione è di restringere «i requisiti, in linea con i criteri europei che stabiliscono che i ricongiungimenti si devono attuare nel rispetto dei vincoli di spesa di walfare, cioè in presenza di una sufficienza autonomia di reddito degli interessati. Questo non avveniva poiché la norma attuale acconsente al ricongiungimento di tre persone con un reddito di 11.900 euro anche in assenza di impiego».

C’è da capire come facciano oggi tre persone a tirare avanti con meno di mille euro al mese. Per questo la proposta di modifica del disegno di legge intende «adeguare i limiti reddituali e prevedere un periodo di stabilità occupazionale e di residenza per almeno due anni». Lo sanno bene i sindaci di qualsiasi colore e bandiera: assistere i migranti, soprattutto i minori non accompagnati, è diventato un onere insostenibile che prosciuga i bilanci.

È forse brutale dirlo così ma non c’è altro modo: l’assalto condotto dai terroristi di Hamas a Israele del 7 ottobre scorso, l’uccisione di centinaia di civili aggrediti nella notte nei kibbutz e nei moshav del sud del Paese, forse ha risvegliato in Italia, in Occidente in generale, la consapevolezza che qualcosa sta cambiando. È cambiato. La manifestazione di Monfalcone di venerdì sera - organizzata dalla locale associazione pro Palestina- era stata autorizzata dal questore di Gorizia perché il rappresentante del “Comitato cittadino” pro Palestina aveva chiesto di esprimere «solidarietà con la popolazione della Striscia di Gaza sotto attacco». Poi è finita che dalla ventilata solidarietà pacifista si è trasceso. Arrivando a gridare “morte a Israele” con contorno di Allah Akbar.

LA RABBIA DI PROVINCIA
Dal Friuli Venezia Giulia alla Toscana la musica è la stessa. Mettiamo indietro l’orologio. È sabato pomeriggio a Livorno. Chi scende in piazza non solidarizza con gli ebrei. Il sindaco di centrosinistra Luca Salvetti (ex corrispondente de la Repubblica) ha vietato di issare la bandiera con la Stella di David sul municipio all’indomani dell’attacco di Hamas. Salvo poi ritrovarsi con i manifestanti che srotolano la bandiera della Palestina sopra a quella a arcobaleno. Salvetti ieri, con una lettera a La Nazione, ribatte alla presidente dell’Unione associazioni Italia-Israele, Celeste Vichi: «La bandiera palestinese è stata subito rimossa». 

Quella di Israele non è stata mai issata. Troppo divisiva? Boh. O non condivisa. L’allarme ai confini cresce. Otto Paesi europei hanno precauzionalmente sospeso la libera circolazione prevista da Schenghen. Chiaro segnale di allerta semmai non bastassero le aggressioni al grido di Allah Akbar che hanno sconvolto recentemente Francia e Belgio.

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