La decisione

Lombardia, torna l'inutile blocco delle auto: la "sentenza" del climatologo

Claudia Osmetti

«Crediamo di poter azzerare ciò che la natura di per sé fa, le diamo una mano a rovinare le cose e poi pensiamo di risolvere il problema». Massimiliano Fazzini, climatologo dell’università di Camerino e coordinatore dell’area Rischio climatico della Sigea, la Società italiana di geologia, è uno abituato a chiamare pane il pane e ad analizzare i fenomeni climatici senza preconcetti. Senza ideologie prestampate, almeno. Prendi gli ultimi dati sull’inquinamento in Pianura Padana e a Milano: sono da mettersi le mani nei capelli.

COME IN BANGLADESH

Una concentrazione di polveri sottili sospese che è 27,4 volte più alta del valore guida stabilito dall’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità); un’aria, sempre quella milanese, che è la terza peggiore al mondo con un indice di 193 (per capirci, Dacca, in Bangladesh, arriva a 249); le Pm10 a 100 microgrammi per metro cubo (quando invece il parametro d’allarme salta a 50). La fotografia è del sito svizzero Iqair e, con buona pace del sindaco meneghino Beppe Sala che già si dice «seccato» (ma poi ci arriviamo), non è per niente rassicurante.

 

 

 

Come abbiamo fatto ad arrivare a tanto? «Il problema è la geografia, ossia la morfologia della Pianura Padana», spiega Fazzini, «che è fatta a imbuto e fa sì che le correnti da sud e da nord, quelle mediamente più intense che possono rimescolare la massa d’aria ferma a causa della persistenza dell’alta pressione, non riescano a passare perché ci sono l’Appennino e le Alpi». Insomma, non piove. Ma «ci sono altre zone in Europa in cui la conformazione è simile e non hanno le nostre concentrazioni di polveri sottili, ma noi dobbiamo sommare anche la densità di popolazione e quella industriale: nella Pianura Padana vivono quasi 20 milioni di persone e c’è il 60% del primario, secondario e terziario italiano». Risultato: non si respira.

È pure un circolo vizioso perché le amministrazioni (comunali, regionali, statali) ci provano a mettere una pezza, ma poi lo smog te lo ritrovi sempre lì, in quel bacino che si mangia mezzo Piemonte e il Friuli Venezia Giulia, a ridosso del Po. Hai voglia a prendertela con le automobili: «Macché», continua l’esperto, «si è visto anche nel periodo del Covid, quando le macchine non circolavano e le polveri sottili non si sono abbassate di molto. Il problema non è tanto la circolazione, quanto le industrie e le metodologie di riscaldamento. È un problema che non si risolve.

Negli anni passati abbiamo avuto a che fare con più ventosità e ha mitigato. Adesso c’è l’anticiclone, è un mese che sta qui, e il rimescolamento dell’aria manca». Fine dei giochi e inizio delle polemiche. Perché (ci siamo arrivati) di stare sul podio, seppur con la medaglia di bronzo, delle metropoli più inquinate del pianeta, a Milano, proprio non va giù. «È una notizia da social», sbotta un Sala inaspettatamente irritato, forse colto sul vivo ché, siamo onesti, sono anni che la sua giunta punta sulla bandierina green delle misure eco-friendly: «Un’analisi estemporanea gestita da un ente privato. Io sono seccato», conferma, «di dover rispondere a domande su questioni che non esistono. Stiamo lavorando per migliorare l’aria, l’Arpa (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale, ndr) dice che è migliorata anche se io sostengo non abbastanza».

 

 

 

BATOSTA ELVETICA

Invece saltano fuori anche (altri) numeri. Non solo le scarse precipitazioni e le temperature stagionali sopra la media, ma l’alta densità di popolazione, gli allevamenti intesivi e le coltivazioni agricole: il 54% delle Pm2.5 si deve (come ricorda Fazzini) ai riscaldamenti domestici e alle stalle industriali, solo 15% ricade sotto la dicitura trasporti. In Lombardia arrivano gli interventi temporanei di primo livello nelle province che hanno raggiunto il quarto giorno consecutivo di superamento: cioè Milano, Monza, Como, Bergamo, Brescia, Mantova, Cremona, Lodi e Pavia. In sostanza dalle 7:30 alle 19:30 d mezzi euro 1 benzina e fino a euro 4 diesel nei Comuni con oltre 30mila abitanti non potranno circolare. «L’unica zona che aveva livelli assimilabili a quelli padani era la Ruhr tedesca una quindicina di anni fa», chiosa il climatologo, «spegnendo le centrali a carbone hanno risolto gran parte della questione, anche se da quelle parti sembrerebbe esserci una variazioni delle correnti. Cioè ci sono mediamente più venti di vent’anni fa». Qui, invece, non soffia manco un refolo.