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L'ateneo vieta di dire "buongiorno a tutti": ecco cosa c'è dietro questa ultima follia

di Simone Di Meo sabato 15 febbraio 2025

3' di lettura

Finalmente qualcuno che ha capito come contrastare i cervelli in fuga, come aiutare i giovani che non conoscono le lingue e la matematica, come risollevare l’università italiana: con un bel regolamento di comunicazione non sessista. Anzi, per dirla con l’Ateneo di Bari “Aldo Moro”: «Linee guida per l’adozione di un linguaggio ampio e rispettoso delle differenze». Un vademecum, approvato da Senato accademico e Consiglio di amministrazione, che ordina come scrivere e parlare correttamente una grammatica inclusiva e gender fluid. Santa Laura Boldrini, insomma, ha fatto il miracolo: quel che sembrava una barzelletta fino a poco tempo fa, in Puglia si è trasformato in realtà.

«Se è vero che nominare qualcosa equivale a far esistere qualcosa», si legge nel pensoso documento, «è altrettanto vero che la necessità di nuovi nomi accompagna la nascita di qualcosa di nuovo da nominare». Senza addentrarci nella critica di un nominalismo così ingenuo e superficiale (Ludwig Wittgenstein sosteneva che la parola «crea» la realtà solo nell’ambito di un naturale uso condiviso da parte della comunità che, qui, invece è una imposizione burocratica), possiamo immaginare come migliorerà certamente la società quando leggeremo termini come «ingegnera», «medica» o «revisora legale» oppure «tecnica di laboratorio» e «capo infermiera». La circolare sottolinea, inoltre, la necessità di rinunciare, magari all’apertura di un convegno scientifico, a saluti maschilisti come «Buongiorno a tutti» per adottare formule più rispettose della sessualità altrui. D’altronde, è da tempo che il Centro interdipartimentale di studi sulle culture di genere, coordinato dalla docente (o docentessa?) Francesca Recchia Luciani, segue con attenzione il tema, tanto che l’ateneo ha avviato, per primo nel Paese, il dottorato nazionale in Gender studies finendo per essere pure premiato nel 2024 come università pioniera dell’uguaglianza di genere dai ricercatori del Mediterraneo insieme ad altri due centri, in Spagna e Portogallo.

Un risultato che certamente restituisce un po’ di fiducia considerato che, stando alla classifica Censis del 2024, la “Aldo Moro” non è che brilli peri risultati raggiunti in ambito nazionale: è sedicesima nel gruppone dei grandi atenei, ovvero le strutture che contano fino a 40mila iscritti. Appena un anno fa, sempre l’UniBa era stata travolta dalle polemiche perla scelta del suo rettore, Stefano Bronzini, di farsi autorizzare dal Cda un aumento dello stipendio del 128%, passando da 70mila a 160mila euro annuali. Una scelta che era arrivata esattamente un mese dopo le annunciate dimissioni dal board della fondazione MedOr, guidata dall’ex ministro Pd Marco Minniti, come segno di solidarietà nei confronti degli studenti ProPal che protestavano contro il sostegno del nostro Paese a Israele, impegnato in una guerra mortale contro i tagliagole di Hamas e di Hezbollah. Malgrado il silenzio -assenso, sarebbe interessante comunque sapere che cosa pensi Bronzini di queste linee guida, lui che è un docente di scienze letterarie ed apprezzato esperto di letteratura inglese. 

Avrebbe William Shakespeare creato i suoi capolavori immortali se avesse dovuto subire questi diktat inclusivi promossi dall’università di Oxford? Di certo, il Bardo non avrebbe definito Otello il «moro di Venezia», amputando gran parte della narrazione e la straordinaria descrizione psicologica del possesso e della furia di una mente ottenebrata dalla gelosia. E di sicuro il povero William avrebbe rinunciato a intitolare una sua commedia la «Bisbetica domata» per non incorrere nelle ire di qualche femminista. La protagonista dell'opera, l'irascibile e intrattabile Caterina probabilmente avrebbe mandato sotto processo il fascinoso e scurrile Petruchio, avventuriero veronese, e si sarebbe fatta intervistare da Myrta Merlino, lasciando a fine trasmissione «un saluto a tutt*».

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