Come ne “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, anche il delitto di Garlasco sembra un romanzo costellato di personaggi, ognuno dei quali ha un suo sviluppo e un suo carattere speciale, che dà corpo alla storia principale. Tra questi c’è sicuramente Franco Marchetto, comandante della stazione dei Carabinieri di Garlasco la mattina del 13 Agosto 2007, considerato all’epoca il miglior ufficiale di polizia giudiziaria della provincia di Pavia e oggi in pensione. È stato intervistato da “la Repubblica”: “La Procura di Pavia ha in mano molto, e ci stupirà. E i carabinieri di Milano vogliono scrivere la parola fine, non una parola qualsiasi. Finora c’è stato un colpevole, non il colpevole. O i colpevoli. E quando si saprà la verità si scoprirà, si capirà anche il male che è stato fatto a me, da chi e il motivo. La vera domanda è il movente. E quando salterà fuori, farà male a due famiglie”.
A smontare la figura del maresciallo Marchetto fu il capitano della compagnia di Vigevano, Gennaro Cassese, che ha lo ha trascinato in tribunale, anche se le denunce a suo carico sono state tutte archiviate. Marchetto venne esautorato dall’inchiesta e subì tre condanne. Una per favoreggiamento della prostituzione: mentre era in malattia, venne trovato dal suo sostituto al night “La Palanca”. Marchetto spiega: “Locale che avevo chiuso due volte e sul quale il mio sostituto non indagò mai”. Un’altra condanna è per peculato, spiega Marchetto: “Per aver prestato a Silvia Sempio, zia di Andrea e mia amica, un gps con cui mi disse di voler controllare la famiglia, e invece pedinò il marito che lo scoprì”. La terza, infine, per falsa testimonianza, legata all’indagine per omicidio: “Ero in caserma, quando venne interrogata la signora Franca Bermani, quella che parlò della bici nera da donna con le molle cromate. La portai io sul ballatoio della caserma ma lei non mi conosceva, e non mi riconobbe. Adesso, nove anni dopo la condanna, mi è arrivata la richiesta di risarcimento da 40mila euro alla famiglia Poggi. Una cosa che mi amareggia. Perché mi sono stati chiesti i soldi proprio ora che mi sto interessando al caso. Per me, è come se fosse la mia ultima indagine. Una guerra del bene contro il male. Anche per riabilitarmi”.
È stato Marchetto a mettere in contatto Le Iene con il super-testimone del canale di Tromello. Oggi il maresciallo gestisce il Blu Bar a Garlasco insieme alle figlie: “Il paese si è sempre diviso su Stasi tra innocentisti e colpevolisti. Molti più i primi. Le stesse persone che mi dicevano di guardare in direzione delle gemelle Cappa”. Diciotto anni fa, però, fu lui stesso a puntare il dito su Stasi, come racconta: “Gli chiesi della ragazza e mi parlò del volto pallido. Allora gli mostrai la foto e chiesi: è questa, stronzo? Oggi ho realizzato che quel ragazzino era nel panico, ma all’epoca avrei voluto insistere. Solo che fu subito messo in una stanza con i genitori. Un errore da dilettanti”. Sempre lui visionò la vecchia bici nera della famiglia Stasi all’autofficina del papà Nicola: “Era diversa. Non la sequestrai io, ma nemmeno i colleghi di Vigevano, in seguito”. Sulle Cappa, infine, dice: “C’era il testimone che smentiva i movimenti della loro madre, quella mattina. E Muschitta (il primo testimone che poi ritrattò, ndr) che descrisse Stefania in bici con troppi dettagli per mentire. Bisognava entrare in casa loro, bisognava indagare a 360 gradi, ma il capitano Cassese disse: tengono l’alibi. Ma chi lo ha mai verificato?”. E Sempio, invece? Marchetto: “Mai sentito finché non lo hanno indagato. Ma lui e il suo gruppo erano tutti ragazzini”.