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Riaperto il delitto Mattarella: un'impronta può spiegare tutto

di Giovanni M. Jacobazzi martedì 10 giugno 2025

2' di lettura

Chi uccise il fratello del Capo dello Stato, l'allora presidente democristiano della Regione siciliana Piersanti Mattarella? La Procura di Palermo è convinta che i killer che spararono al fratello del capo dello Stato la mattina del 6 gennaio del 1980, mentre si stava recando a messa con la famiglia, siano Antonio Madonia e Giuseppe Lucchese, da trent’anni in carcere al regime del 41bis. Secondo i magistrati del capoluogo siciliano, diretti dal procuratore Maurizio De Lucia, furono loro, prima di far perdere le tracce, a far fuoco con una rivoltella calibro 38. Il prossimo 12 giugno verrà dato l’incarico ai periti per effettuare degli accertamenti tecnici, con le nuove tecnologie disponibili, per estrarre il Dna su una impronta rinvenuta all’epoca sullo sportello della Fiat 127 utilizzata dai killer per darsi alla fuga dopo l’assassinio e poi abbandonata alla periferia della città. 

Questa impronta era stata repertata nell’immediatezza dell’omicidio ma venne considerata dagli inquirenti “inutilizzabile” per poter risalire all'identità di chi l’aveva lasciata sulla carrozzeria. Il vetrino potrebbe però avere catturato delle tracce biologiche comparabili, grazie ai progressi fatti in questi anni nell’ambito degli accertamenti scientifici, con il Dna di Madonia e Lucchese che all’epoca avevano 28 e 22 anni.

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I due, poi condannati a vari ergastoli per aver commesso decine di omicidi, erano i killer di fiducia di Totò Riina. Insieme, il 3 settembre del 1982, spararono ed uccisero il generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, da poco promosso prefetto di Palermo. Per il delitto del politico della Dc, al termine di un lungo iter processuale, vennero condannati come mandanti, oltre a Riina, il capo dei capi, tutti i boss della cupola di Cosa nostra: Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci. Non vennero, come detto, mai individuati gli esecutori. Per anni si ipotizzò che a sparare fossero stati i neofascisti Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, poi coinvolti nella strage alla stazione di Bologna dove saranno condannati all’ergastolo. Fioravanti e Cavallini al termine del dibattimento saranno assolti per non aver commesso il fatto.

Si trattava della “pista nera” secondo la quale la mafia avrebbe stretto accordi con l'eversione di destra e con appartenenti ai Servizi segreti deviati, tutti interessati in quel periodo a destabilizzare il Paese, frenando l’avanzata del Pci, per poi dare il via ad una svolta reazionaria con la sospensione delle garanzie costituzionali. Le indagini, va ricordato, iniziarono però con un depistaggio per coprire i killer. Un po’ come avverrà anni più tardi per la morte di Paolo Borsellino. Fu l’allora sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino a riferire al questore del capoluogo siciliano che l’omicidio di Mattarella era avvenuto per un regolamento di conti interno alla sinistra. A 45 anni da quell’attentato le indagini della Procura di Palermo possono finalmente far luce su una pagina quanto mai oscura della storia d’Italia.

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