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Controstoria d'Italia: quei fili invisibili tra Stato e criminalità

di Gianni Bonina martedì 9 maggio 2023

3' di lettura

Senza il tono di forte indignazione che traspare sin dal titolo, il nuovo libro di Paolo Borrometi, Traditori (Solferino, pp 448, euro 20), apparirebbe un rigoroso manuale di storia, invece costituisce un vibrante pamphlet sui tralignamenti che hanno segnato il nostro tempo ad opera di elevati ufficiali e figure istituzionali bollati con il marchio di traditori: «coloro che non rimangono fedeli ai loro ideali ma seguono il proprio interesse» attraverso il depistaggio, che è il propellente principale della “macchina del fango”. L’atto di accusa mosso dal giornalista siciliano condirettore dell’Agi, sotto scorta da nove anni perché nel mirino della mafia (trentatré i boss fatti condannare), si fonda su una scrupolosa rilettura di tutte le fonti (riportate in quasi quaranta pagine di Note finali), che riposizionate in un inedito quadro sistematico e rivisitate a riscontro una dell’altra offrono anzichenò una controstoria del Paese connotata da un elemento di fatto permanente, ovvero lo stretto legame che ha costantemente unito criminalità organizzata, Servizi deviati, apparati massonici e ambienti statali corrotti, giusto il credo gridato in partenza da Gaspare Pisciotta: «Banditi, polizia e mafia sono un corpo solo».

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I PROTAGONISTI

Il caso di depistaggio più audace, tale da toccare il ridicolo, si ha certamente con la seduta spiritica tenuta in maniera solenne dai massimi esponenti governativi e giudiziari allo scopo di conoscere dall’Aldilà la prigione di Aldo Moro, ma molti altri eventi sono da scuola del “mascariamento”: Peppino Impastato, fatto uccidere dal boss di Cinisi Gaetano Badalamenti (presente negli stessi giorni in Via Fani), ma indicato dalle autorità ufficiali come un terrorista morto alla Feltrinelli; Pippo Fava, dato per vittima di un marito tradito; l’agente Nino Agostino, dichiarato dalla stessa polizia bersaglio della vendetta di una ex; il giornalista Beppe Alfano, caduto anch’egli per motivi passionali, ma in realtà ucciso perché sulla pista di un traffico di uranio e di armi; l’educatore carcerario Umberto Mormile, tacciato come corrotto e invece ucciso per aver detto in faccia a un boss di essere in combutta con i Servizi; Adolfo Parmaliana, docente capace di denunciare le collusioni tra magistratura e mafia, morto suicida dopo essere stato vittima di un feroce dossieraggio ordito ai piani più alti della Procura peloritana; il presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, accusato di aver ideato una messinscena facendo credere a un attentato scampato.

Il teorema è sempre lo stesso, «parte – scrive Borrometi – di quella stabile alleanza, risalente agli inizi degli anni Settanta, tra Cosa nostra, eversione neofascista ed esponenti della polizia e del Sisde». Gli effetti di questo accrocco si sono visti su più scenari e in più stagioni: da Piersanti Mattarella, che alla sua fida segretaria, rientrando da una visita al ministro Rognoni, raccomanda di ricordarsi di quell’incontro per quanto di grave gli potrà accadere, a Paolo Borsellino, che confida alla moglie di aver saputo da un pentito che il generale dei carabinieri Subrianni è punciutu e che «c’è un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato».

LE STRANE ANTICIPAZIONI

dalla telefonata che il procuratore di Palermo Pietro Giammanco fa alle 7 di domenica a Borsellino, lo stesso giorno della strage, per comunicargli di averlo incaricato delle inchieste di mafia, quando il giorno precedente di presenza non gli ha detto niente, alle anticipazioni dell’agenzia giornalistica Repubblica (Agir) di Lando Dell’Amico che, a sole 24 ore dalla strage di Capaci, parla di “bel botto esterno”; dal Rapporto dell’ambasciata Usa secondo cui un protagonista di Mani pulite è un «pupazzo manovrato dagli Usa», ai rapporti di Faccia di mostro con il terrorista Concutelli; dalla presenza del procuratore di Bologna a Enna nel periodo di preparazione della strategia stragista di Cosa nostra fino al ruolo dell’estremista Paolo Bellini, amico del mafioso Nino Gioè e implicato nella strage di Bologna nonché presente a un summit a Cefalù in vista di Via D’AmelioBorrometi traccia un circuito che porta ogni trama al cuore degli appartati più torbidi, innanzitutto i Servizi deviati e quindi i traditori dello Stato al servizio dei suoi nemici. Ma come una cartina di tornasole, una tale visione delle cose ha due colori: quello della vergogna e l’altro opposto dell’onore, perché a ogni infame corrisponde un martire, per modo che il libro di Borrometi può essere visto sì come una rassegna di traditori ma nello stesso momento anche come galleria di eroi.

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