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Ancona, non si ferma all'alt e viene ferito? Ora vuole soldi dal carabiniere

di Simona Pletto mercoledì 18 giugno 2025

4' di lettura

Un’auto in fuga, un colpo di pistola e un servitore dello Stato che rischia il processo. È l’illogica cronaca che si ripete, la disavventura - purtroppo già vista troppe volte -, di un militare che, intervenuto in piena notte per fermare un’auto lanciata a tutta velocità per le strade di Ancona, si ritrova ora sotto accusa. Dopo il recente caso dei poliziotti indagati in provincia di Brindisi perché hanno fermato gli assassini di un brigadiere che si erano dati poi alla fuga, questo avvenuto nelle Marche è un altro assurdo esempio di una divisa che cerca di fare il proprio lavoro, in piena notte, con una pistola d’ordinanza e una responsabilità che pesa ben più del metallo che porta alla cintura, e che finisce sul banco degli imputati. L’episodio risale al marzo 2023, ma le sue conseguenze giudiziarie – come detto - sono tutt’altro che archiviate: mentre l’automobilista, un 57enne che ignorò l’alt dei carabinieri, affronta un procedimento per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni stradali, è il brigadiere ad essere chiamato a difendersi in aula. Non solo: ora sulla sua testa pesa anche una richiesta di risarcimento da 120mila euro avanzata proprio da chi quella notte non si fermò. Tutto accade nella notte tra il 5 e il 6 marzo 2023. Una pattuglia del Radiomobile di Ancona intimò l’alt a un’auto - peraltro con targa falsa - in via della Grotta. A bordo, un 57enne osimano, insieme alla compagna. In quella vettura gli investigatori troveranno una boccetta di metadone.

SIRENE E SORPASSI
La paletta dei militari aveva ordinato al conducente di fermarsi, ma lui aveva tirato dritto spingendo sull’acceleratore. Da qui, l’inseguimento a tutta velocità e a zig zag per le vie del centro abitato di Posatora, nell’anconetano, con i carabinieri costretti a rincorrere l’auto in fuga - come spesso accade in questi casi senza saperne il perché e quindi lasciando aperte diverse ipotesi criminali - in piena notte, tra sirene e sorpassi pericolosi. Uno scenario rischioso, soprattutto per chi, come i due militari, cercava di evitare che quella folle corsa finisse in tragedia. Poi l’epilogo: l’auto del fuggiasco urta un guardrail e finisce la corsa davanti a un muro, mentre la gazzella dietro, nell’urto si mette anch’essa di traverso. Siamo in via Offagna dove la Polo, secondo la ricostruzione del brigadiere, a quel punto essendo la strada sbarrata, avrebbe tentato una manovra improvvisa in retromarcia, rischiando di investirlo. Da qui, l’uso dell’arma mai negato. Tre i colpi esplosi (uno verrà rinvenuto cinque giorni dopo) e non due, come inizialmente dichiarato dal militare, imprecisione che aggiungerà alla sua lista il reato di falso. Due di questi, comunque, colpiscono l’auto e raggiungono il conducente al fianco destro, perforando sedili e bagagliaio.

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Ferito, l’uomo prosegue comunque la fuga, fino a schiantarsi poco dopo in via del Fornetto. Il 57enne in questa rocambolesca fuga perde un rene. I due carabinieri, rimasti feriti sempre nell’inseguimento, riportano ciascuno una prognosi di oltre 70 giorni. Eppure, a finire sotto accusa con reati pesanti ora da affrontare penalmente, è proprio il carabiniere. Sì, perché oggi il militare si ritrova al centro di un procedimento penale per lesioni colpose per uso improprio dell’arma e, come se non bastasse, per falso. Una contestazione arrivata più tardi, basata sulla discrepanza tra i colpi dichiarati e quelli effettivamente esplosi. La difesa, rappresentata dall’avvocato Elisa Gatto (Ennio Tomassoni il legale del 57enne), punta a dimostrare che non vi fu alcuna intenzione dolosa e che l’azione fu dettata dall’emergenza, in un contesto di rischio reale per la vita del carabiniere stesso.

ANCHE IL MINISTERO
E mentre il brigadiere attende il prosieguo del processo, il 57enne si è costituito parte civile e batte cassa. A rincarare la dose, la richiesta di coinvolgere anche il ministero dell’Interno come responsabile civile. Una pretesa che ha portato il Gup Francesca De Palma a rinviare l’udienza al 3 novembre. Nel frattempo, il militare – convinto di aver agito correttamente e senza nulla da temere dalla verità – ha scelto di non accedere a riti alternativi. Resta il dato di fatto: mentre chi ha forzato un alt potrà forse accedere a una messa alla prova, chi ha indossato una divisa per far rispettare la legge si ritrova ora a rispondere di fronte a un tribunale. E con una richiesta di risarcimento di 120mila euro. Pretesa che stride con la realtà: si chiede a un servitore dello Stato un risarcimento che supera di gran lunga ciò che guadagna in un anno per mettere a rischio la propria vita al servizio degli altri.

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