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Ramy, il consulente dei pm: "Distanza non è parametro", altro colpo di scena

venerdì 4 luglio 2025

3' di lettura

Se "la distanza tenuta tra i due mezzi, il veicolo inseguitore e quello inseguito, fosse stata maggiore" l'evento "avrebbe potuto avere una differente evoluzione, ma il caso in esame, come evidenziato, non può essere ricondotto ad un caso di normale incidente stradale, bensì rientra nel contesto completamente differente di un'operazione di pubblica sicurezza". Lo scriveva nella sua relazione, depositata a marzo, l'ingegnere Domenico Romaniello, consulente dei pm di Milano sul caso Ramy, ossia la morte il 24 novembre del 19enne che era in sella allo scooter guidato dall'amico Fares Bouzidi inseguito per circa 8 km dai carabinieri. Ieri i pm Giancarla Serafini e Marco Cirigliano hanno chiuso l'inchiesta contestando, per l'eventuale richiesta di rinvio a giudizio, l'omicidio stradale sia a Bouzidi che al militare che guidava l'ultima auto inseguitrice.

E, in sostanza, facendo altre valutazioni, sulla base degli atti, rispetto a quelle del loro consulente, per il quale l'unico responsabile dell'incidente sarebbe stato l'amico di Ramy. I pm nell'imputazione per il carabiniere, invece, mettono in luce proprio la distanza "inidonea", meno di 1,5 metri, tenuta dal militare, troppo vicino alla moto, prima dell'urto all'incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta. È chiaro, aveva scritto il consulente, "che nessuna procedura disciplina e potrà mai disciplinare in maniera rigida la distanza di sicurezza da dover mantenere nei casi di inseguimenti di malviventi e tali decisioni e modalità di conduzione dell'azione vanno calate in ogni specifica e differente situazione che si possa presentare innanzi alle Forze dell'Ordine nell'espletamento dei loro compiti e doveri d'Ufficio". Agli atti, però, è finita anche anche la deposizione del teste oculare. "Credo - ha spiegato - sulla base di quello che ho visto, che i carabinieri non si aspettassero che a quella velocità i ragazzi inchiodassero e provassero a svoltare (...) Secondo me quello è stato il momento in cui, se ci fosse stata distanza, non ci sarebbe stato l'impatto. Siccome erano molto vicini non c'è stato tempo per la pattuglia per reagire e frenare in tempo". 

L'analisi "di tutti gli elementi tecnici a disposizione", è scritto ancora nella consulenza di Romaniello, "dimostra che l'inseguimento" è avvenuto nell'ultima fase "a distanza più ravvicinata nel tentativo di agganciare il veicolo in fuga, e di intimare l'arresto della marcia al veicolo e di indurre l'automezzo ad accostare a destra, come prescrivono le procedure da adottare negli inseguimenti da parte delle Forze dell'Ordine". I pm ovviamente hanno tenuto conto anche delle consulenze depositate dalla difesa di Fares, coi legali Debora Piazza e Marco Romagnoli, e dal legale Barbara Indovina, che assiste i familiari di Ramy. In quest'ultima, ad esempio, si faceva presente che "l'urto tra autoveicolo e motociclo non può essere avvenuto in prossimità del palo semaforico, bensì poco prima dell'inizio dell'intersezione, quando i veicoli erano affiancati". Inoltre, gli inquirenti della Procura diretta da Marcello Viola hanno agli atti anche l'ultima integrazione del proprio consulente con le risposte alle controdeduzioni di quelli delle altre parti. Ad ogni modo, è probabile che se si arriverà in udienza davanti ad un giudice, con imputati il giovane e il militare, sarà richiesta da una o più delle parti o sarà disposta d'ufficio una perizia per fare chiarezza su diversi punti, come quello della distanza. Per i pm, il carabiniere, proprio in relazione a quella distanza troppo ridotta, avrebbe violato le "regole di comune prudenza e diligenza comunque imposte" da un articolo del codice della strada "in occasione di servizi urgenti" delle forze dell'ordine.

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