Basta il colpo d’occhio su un qualunque affidabile sito del meteo, e l’Italia, al momento di scrivere, sabato 5 luglio, appare tutto sommato un paziente in buona salute: al centro e al sud coperta di simboli solari, salvo che in zone della Basilicata e sul Gargano dove sono segnalate piogge; dall’altezza dell’Umbria in su, eccezion fatta per gran parte della Toscana, dalle opposte immagini di nuvole e temporali. Semplificando, il Belpaese è meteorologicamente spaccato in due secondo la tradizionale distinzione che vuole il freddo al centro nord e il caldo al centro sud. Se non fosse per le temperature che, generalmente, sono superiori alle massime medie degli anni passati, sembrerebbe quasi una normale giornata di inizio luglio, prima dell’emergenza dovuta al riscaldamento globale.
Ma poiché siamo in pieno allarme climatico, anche un quadro come quello descritto, che riflette (sia pure con i picchi di cui abbiamo detto) un meteo normale per la geografia del nostro paese, suscita titoloni, commenti febbrili, annunci fatali e profezie apocalittiche. Da un lato, fino a qualche giorno fa, l’Italia, a sentire un po’ tutti quanti, era pronta a carambolare nel fuoco di un’estate mai così rovente, da che si ha traccia dei dati climatici. Poi, con l’arrivo del maltempo al nord con forti temporali e in particolare i violenti nubifragi su Como e Bergamo e i voli dirottati, ecco che il meteorologo che è in ognuno di noi, che, aggiornandosi secondo lo spirito del tempo, ha sostituito l’allenatore della nazionale di calcio, intravede una subdola, quasi perfida inversione di rotta: non più destinati alla fornace, ma capricciosamente lacerati in due martiri opposti: si brucia al sud, si gela al nord. Dante, con i suoi castighi infernali, ora caldi ora freddi, come al solito, già aveva previsto tutto. In verità, ci sono anche titoli più oggettivi: “Italia divisa, maltempo al nord e bollino rosso al centro sud” (Agi), o, bellissimo, quello di RaiNews: “Tregua dal caldo, ora il maltempo”, che suggerisce una solidale quanto fantasiosa compensazione per cui, ad esempio, chi vive a Catania potrà godere della grandine annunciata sulla Pianura Padana. Ma qual è la spiegazione non climatica, ma psicologica, di questi opposti allarmismi? E di questa singolare fallacia per cui, dato che abbiamo dato per scontato che finiremo arrostiti, ogni evento temporalesco è un segno infausto, un’indicazione che l’apocalisse – calda o fredda che sia – è più vicina che mai? Il fatto è che vogliamo sempre controllare tutto, anche la nostra fine. Dopo l’era atomica e la tremenda catastrofe del Covid, abbiamo deciso che il colpo di grazia alla nostra specie lo darà il riscaldamento globale. Non importa seguire le temperature giornaliere, siamo sicuri, abbiamo impostato tutte le nostre strategie di adattamento e di risposta all’emergenza in base a quella minaccia. Gli altri pericoli, che pure ci sono, seguono.
Per noi umani, una serie sufficientemente lunga diventa immediatamente un fato. Ecco così che il “riscaldamento globale” è un centauro, per metà verità misurabile, per metà (soprattutto nei suoi sviluppi futuri) profezia mistica. Come inserire in questo quadro profetico, cioè umano, il fatto che la natura, nonostante l’abbiamo stuprata in tutti i modi, continua a mantenere una certa beata indifferenza alle nostre divinazioni? E quindi, guarda che dispetto, a luglio, quando il fuoco doveva diventare al calor bianco, si mette a piovere e a grandinare? I conti non ci tornano, ed è una buona notizia.