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Il ventaglio? Pratico, di moda e non inquina: un eterno ritorno

Già noto nell’antico Egitto, ai greci si deve l’uso quotidiano, poi divenne oggetto da “dame”. Piace ancora molto anche ai giovani: costa poco e funziona sempre
di Tiziana Lapelosa venerdì 11 luglio 2025

4' di lettura

Gli antichi c’azzeccavano sempre. E secoli di progressi conditi da tecnologie sempre più avanzate non sono bastati a mandare in soffitta un oggetto tanto semplice quanto geniale: il ventaglio. Di innata eleganza, e complice il troppo caldo di questa stagione, il ventaglio si riscopre oggetto indispensabile. Non soltanto perché rende le donne, ma anche gli uomini, un po’ misteriose e un po’ glamour, ma soprattutto perché funziona. Per davvero. Cioè, rinfresca. Che è la sola cosa alla quale si aspira in queste giornate di sole cocente. Il suo sventolare, infatti, rimuove quello strato sottile che si deposita sulla pelle, cioè il sudore, facilitando il ricambio d’aria, dissipando il calore. Regalando, dunque, una impagabile sensazione di freschezza con l’attenuate di non inquinare. Che non è poco.
Niente a che vedere con quegli orribili mini-ventilatori da viso, industriali, affatto poetici, che contribuiscono a gonfiare i secchi di plastica da buttare, visto che durano il tempo di un battito d’ali. Non è un caso, dunque, che sempre più persone tirano fuori dalla borsa questo accessorio e che a farlo siano anche tantissimi giovani.

Già noto nell’Antico Egitto sotto il nome di flabélum, ventagli cerimoniali in legno lunghi oltre un metro (famoso quello in legno del faraone-bambino Tutankhamon, siamo circa nel 1340 a.C.), è con i greci che trionfa nell’uso domestico, abitudine poi imitata da etruschi e romani. Mentre della Cina del II sec a. C. si hanno testimonianze di ventagli in bambù. E se al Paese del Dragone, complici i portoghesi, si deve la sua riscoperta nell’Europa del VX secolo, con Caterina De’ Medici ed Elisabetta I d’Inghilterra che lo rendono glamour, è grazie ai giapponesi se il ventaglio è così come lo conosciamo oggi, cioè pieghevole.

Si narra che gli abitanti del Sol levante si siano ispirati alle ali dei pipistrelli per rendere questo oggetto più pratico e facilmente portatile. E da allora poco o nulla è cambiato, se non i materiali con cui questo accessorio viene realizzato. Lo sa bene Giuliana Camurati, oggi alla guida dell’azienda fondata dal suocero Enrico Camurati nel 1935, e che dal 1948 è l’unica azienda in Italia che produce esclusivamente ventagli artigianalmente. Uno per uno, a mano. Da qui sono usciti quelli utilizzati ne “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, per esempio, e tanti di quelli sventolati a teatro, all’opera, al cinema. «È un accessorio che continua a difendersi e c’è molta richiesta soprattutto in questo periodo», spiega Giuliana Camurati, «la mia è una clientela medio alta, ma noto che in giro si usa tantissimo e molti sono di importazione.

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Ormai si trovano dappertutto, quelli che realizziamo noi sono invece più esclusivi e spesso di alta moda». Basta dare uno sguardo alle ultime sfilate di Parigi per capire quanto sia attuale: per Giorgio Armani una indossatrice ha stregato tutti sfilando con un ventaglio nero, elegante, misterioso. E se sventolando uno dei prodotti artigianali firmati Camurati (in seta, cotone, pizzo Sangallo, lamè e una linea sposa) si avverte la sensazione di avere tra le mani un prodotto di altissima qualità, c’è da dire che di ventagli ce n’è davvero per tutte le tasche (da un euro, cinesissimo, ai 690 euro per uno firmato Prada), per tutte le età e di ogni colore.

Arcobaleno per la comunità Lgbtqia+ nelle scorse settimane impegnata nei Pride in tutta Europa, di fattura “maschile” per tipi che non vogliono passare inosservati, classici ed economici per chi poco vuol farsi notare, più sbarazzini per la clientela giovane che, oltre al cellulare, è sempre più solita ad estrarne uno dalla borsa. Basta passeggiare per le città d’arte e di mare, prendere un tram o semplicemente trovarsi in una sala d’attesa, che ecco spuntare questo geniale accessorio. Come non notare quelli con la scritta “ca**o di caldo” (ma chi li vende assicura che vanno forte soprattutto tra le signore), “love is in the air”, “non sudo, brillo” e via così. Vengono venduti a 9,90 euro.

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Ma oggi, se pensiamo al ventaglio, vengono in mente il Giappone e la Spagna. Nel Sol Levante nessuno ne fa a meno. Realizzati con stecche di bambù e carta, per le donne vengono dipinti con fiori e farfalle, per gli uomini con immagini del monte Fuji. La Spagna, invece, vanta proprio una scuola manifatturiera a Cadice, Andalusia, e un sindacato di per i produttori di ventagli (Abaniqueros). È qui, insieme alla Francia, che questo comunissimo accessorio tra il XIX e il XX secolo veniva utilizzato come strumento di comunicazione. Ad ogni gesto, un significato rivolto dalle donne agli uomini: coprirsi l’orecchio voleva dire “lasciami in pace”; muoverlo con la mano destra “mi piace un altro, con la sinistra “ci stanno guardando”; poggiarlo chiuso sulla bocca “baciami”; aprirlo tutto nascondendo la bocca significava non avere un uomo; poggiarlo sulla guancia destra equivaleva ad un “sì”, sulla sinistra ad un bel due di picche. Ecco, oggi tutti questi messaggi in codice resistono soltanto nelle rievocazioni storiche, nei film, nella letteratura (come dimenticare “Il ventaglio di lady Windermere di Oscar Wilde?), a teatro, in cerimonie ufficiali (come quella del “Ventaglio” al Quirinale in cui la stampa omaggia il presidente della Repubblica). Mentre noi continuiamo a sventolarci con successo, pagando una tantum. Senza inquinare.

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