Israele è in guerra dal 7 ottobre 2023, ad oggi sono 657 giorni di battaglia su otto fronti. Quali sono? Gaza, Iran, Libano, Yemen, Cisgiordania, Siria, Iraq. Il lettore attento noterà che i fronti elencati qui sono sette. Qual è l’ottavo? Quello della comunicazione, dell’informazione, della conquista del cuore e della mente delle persone. È la battaglia più difficile, perché Israele combatte contro un nemico interno: l’Occidente che odia l’Occidente, l’individuo smarrito (che si fa massa, secondo la lezione di Elias Canetti) che disprezza se stesso fino a trovare il capro espiatorio del proprio falso senso di colpa nella caccia all’ebreo, nella rinascita e spinta dell’antisemitismo.
La cronologia dell’oggi è ingannatrice, dobbiamo fare un viaggio nel tempo: Israele è in guerra fin dal giorno della sua fondazione (14 maggio 1948), quando gli arabi dicevano che bisognava «buttare a mare Israele». Quel programma il 7 ottobre 2023 ha subìto un salto di qualità, un livello di orrore visto solo durante la Seconda guerra mondiale: la strage degli ebrei, un altro Olocausto. Da Hitler alle belve di Hamas. Quando parlo in pubblico e in privato di questo tema - che riguarda la sopravvivenza della nostra civiltà - sono regolarmente in minoranza, quasi sempre solo contro tutti, il format del nuovo pluralismo del giornalismo orwelliano. Una condizione che raggiunge vette di isolamento mai vissute prima. Sembra che la storia dell’Occidente sia stata cancellata, nessuno ha più memoria e le domande tuonanti che si ponevano quando l’Europa scoprì il programma di sterminio nazista («come è potuto accadere?») non valgono più.
Ottant’anni dopo, ho scoperto perché è potuto accadere, sta succedendo di nuovo, davanti ai nostri occhi e quel «mai più» - pronunciato quando la guerra finì e furono scoperti Buchenwald e Auschwitz e molti altri campi di sterminio - è diventato un sinistro «sono tornati».
Chi? Gli antisemiti. Sono una presenza fissa alle cene d’alto bordo, negli argomenti da salotto e di piazza, sono oggetto di delibazione e brindisi, presenza gradita nei talk show, il principale veicolo del veleno.
È un copione unico dove si racconta la storia dell’ebreo assassino, dell’ebreo genocida, dell’ebreo nazista, dell’ebreo hitleriano. Basterebbe questo cortocircuito linguistico, questo autoscontro della parola e del significato storico, a chiudere l’argomento e procedere con la telefonata alla neuro e all’invio dell’ambulanza, ma la realtà è che siamo passati a un’unica verità e al tentativo sempre più reale di spegnere (anche fisicamente) chi si oppone a questa follia, a questa narrazione che ha trasformato i tagliagole di Hamas in una fonte giornalistica attendibile, a chi cerca di contrastare la deriva di un’informazione che confonde il carnefice con la vittima.
Nella stampa italiana e nei servizi della tv, la vulgata è che l’esercito israeliano spara deliberatamente sulle chiese, mira ai civili, ha un programma di genocidio. E di fronte all’enormità di queste affermazioni, all’abominio di queste idee che offendono la memoria e l’intelligenza, i pochi che hanno il coraggio di opporsi subiscono minacce e intimidazioni: l’invito a tacere è il modo più efficace per farti sparire.
Come scriveva il poeta portoghese Fernando Pessoa, «la morte è la curva della strada, morire è solo non essere visto». Lo stato pietoso dell’informazione non mi sorprende, quello che è invece assordante è il silenzio quasi totale dei presunti intellettuali liberal-democratici. Il livello di minaccia è tale per cui preferiscono tacere e non dire l’ovvio, ovvero che Hamas deve liberare gli ostaggi e smettere di lanciare missili e uccidere innocenti: sono le condizioni minime che farebbero finire questa guerra, il conflitto che quella banda di criminali di Gaza non ha alcuna intenzione di terminare, perché desiderano la guerra, la fine del “cane ebreo”, la morte di ognuno di noi.
L’Homo Europaeus è un caso pietoso, sventola bandiera bianca prima ancora del colpo di cannone, è in fuga dalla realtà e non difende neanche uno dei valori dei quali si riempie la bocca, approva l’indottrinamento islamista (e la strage) al punto da gettarsi nelle braccia del boia. L’odio verso se stessi finisce nello sprofondare in un Grande Nulla, un abisso nichilista dove l’unica cosa che si vede e si sente nella pelle è l’odio, la presenza dell’antisemita che si siede a tavola e lapida l’unica democrazia del Medio Oriente, Israele. Così l’informazione è ridotta a voce totalitaria, mentre la politica in cerca di riparo dalla pioggia del presente- chiede a Israele di «fermarsi», dimenticando che è Hamas ad aver sgozzato gli ebrei, violentato le donne, scannato i bambini, finito a colpi di zappa i moribondi, mitragliato ogni essere umano che implorava pietà, dato alle fiamme i vivi, oltraggiato i cadaveri, massacrato persino i cani, fatto terra bruciata di tutto quello che gli ebrei avevano costruito nei kibbutz. Le immagini più dure del 7 ottobre io le ho viste: chi ne parla senza conoscere il male dovrebbe tacere, osservare ogni giorno un minuto di silenzio e pregare che l’esercito israeliano riesca a difendere la frontiera, quell’avamposto di Occidente in Medio Oriente. Nell’informazione si recita il copione delle Belve di Hamas: gli ebrei, i loro amici, chi li sostiene, i pochi giornalisti che hanno ancora la forza per supportare la causa del mondo libero, sono all’angolo. Questa operazione di mistificazione sta raggiungendo il suo obiettivo: “mostrificare” gli ebrei, fare di Israele uno “Stato canaglia”, espellere dal libero dibattito le idee dei non allineati. A questo coro di sonnambuli si sta aggiungendo purtroppo anche il Vaticano: Papa Leone XIV deve agire in fretta per cambiare il racconto offerto all’opinione pubblica. Ho letto da parte del Segretario di Stato Pietro Parolin e del cardinale Pierbattista Pizzaballa parole che rischiano di fare il gioco di chi vuole la fine di Israele, di chi brucia la bandiera con la Stella di David.
Pio XII durante la Seconda guerra mondiale salvò vite, ma scelse colpevolmente il silenzio: questa linea fu interpretata come un assenso da chi pensava che gli ebrei fossero il problema dell’Europa. Leone XIV ha parlato con Bibi Netanyahu (e la telefonata del premier israeliano è stata molto apprezzata) ma se apri un canale diplomatico mentre i suoi principali collaboratori lanciano accuse all’esercito di una democrazia, si apre la strada a chi giustifica il massacro degli ebrei. Non a caso in quel varco equivoco si sono infilati gli utili idioti di Hamas. In Vaticano serve più chiarezza, non sono tempi in cui la Chiesa può dichiararsi neutrale, Sant’Agostino insegna come discernere tra guerra giusta e sbagliata e se le armi devono tacere, non tutti i proiettili e i coltelli sono uguali. Nella confusione dell’Occidente si aggiunge questo: un cattolicesimo che non trova la parola giusta per gli ebrei, che non riscopre l’origine di tutto nella Bibbia, il libro dei libri che racconta l’Esodo dall’Egitto alla Terra promessa, il cammino di un popolo che sfugge all’oppressione del faraone e segue la parola di Dio.
L’antisemitismo è ovunque nei secoli. Leggevo qualche giorno fa Il mercante di Venezia, capolavoro dove William Shakespeare fa parlare così Shylock contro Antonio, che l’aveva deriso: «Egli m’ha vilipeso in tutti i modi. Ha goduto per le mie perdite, ha disprezzato la mia razza, ha intralciato i miei affari, ha allontanato da me i miei buoni amici e mi ha aizzato contro i nemici! E tutto questo per quale ragione? Perché sono ebreo! E dunque?
Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, sensi, affetti e passioni? Non si nutre egli forse dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano? Non viene ferito forse dalle stesse armi? Non è soggetto alle sue stesse malattie? Non è curato e guarito dagli stessi rimedi? E non è scaldato e raggelato dallo stesso inverno e dalla stessa estate che un cristiano? Se ci pungete non versiamo sangue, forse? E se ci fate il solletico non ci mettiamo a ridere? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci usate torto non cercheremo di rifarci con la vendetta? Se siamo uguali a voi in tutto il resto, dovremo rassomigliarvi anche in questo». Shakespeare scrisse Il mercante di Venezia alla fine del 1500. Quest’opera che per tanti è un manifesto contro gli ebrei, con un monologo tanto potente, alla luce del presente si ribalta e rivela, cinque secoli dopo, che l’antisemitismo è vivo e pasteggia a tavola con la nostra anima.