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Lesmo, la partita a scopa tra anziani finisce in disgrazia: botte e dentiere volanti

di Susanna Barberini venerdì 25 luglio 2025

4' di lettura

Volano cazzotti nell’operosa e compostissima Brianza. Il centro anziani di Lesmo anziché spandere dolcezza di tisane e il lento rosario di tombolate, si è fatto, negli ultimi tempi, teatro di risse, ruggiti e rancori da retrobottega. Una sorta di western geriatrico, ambientato non nel deserto polveroso dell’Arizona ma fra le sedie imbottite di via Morganti 13, dove il rumore dei dadi nella tombola è stato sostituito dal tonfo sordo dei pugni. La cronaca – spicciola, concreta, quasi surreale – racconta che due uomini, uno di 78 e uno di ben 97 anni, sono finiti a litigare per una partita a scopa. Non la scopa delle fiabe, né quella delle pulizie, ma quella delle carte, che nei circoli anziani italiani mantiene il valore simbolico e infiammabile di una guerra di trincea. A scatenare il conflitto, pare, una mossa maldestra, una parola di troppo o forse un’antica ruggine mai davvero sedimentata.

Il più anziano – centenario mancato ma ancora acceso come un fiammifero – ha avuto la peggio: un pugno in faccia, un labbro rotto e la dentiera volata via, emblema tragico-grottesco di una vecchiaia che sa essere anche feroce. Niente bar di quartiere, niente ultrà, niente alcol in circolo: solo lo scontro nudo e crudo tra due vecchietti, in una sala dove solitamente si discute di acciacchi, bollette e nipoti. Il presidente del centro, Amos Noli, uomo paziente e in apparenza imperturbabile, era in ferie al mare quando ha ricevuto la telefonata: «Mi chiama il figlio del signore di 97 anni e mi dice: “Mio padre è stato aggredito”».

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Tornato a Lesmo, effettivamente ha trovato una situazione incandescente, racconti contraddittorie un clima da resa dei conti. Il perché è presto detto. «Avevo ripreso il mio amico e compagno di gioco a Scopa per via di un errore che aveva fatto nel lanciare una carta sbagliata», ha raccontato il 97enne. «Subito dopo, però c’eravamo chiariti con una stretta di mano anche perché sono una persona pacifica e odio litigare. Purtroppo la situazione è degenerata il giorno seguente, appena ci siamo rivisti al centro. Mi sono avvicinato per salutarlo, ma lui non mi ha nemmeno guardato in faccia. Ho preferito lasciare perdere, ma lui, subito dopo, mi ha accusato di essere la vergogna del centro anziani di Lesmo».

«Ha puntato il dito contro di me perché sosteneva anche che avessi parcheggiato male la mia auto all’interno del centro anziani», continua la vittima che si lamenta anche di essere stato accusato «di aver preso delle fragole da un contadino di California (una frazione del comune di Camparada, ndr) senza averle pagate e, addirittura, di averle rubate di notte dal campo del contadino per poi rivenderle». «Accusa del tutto falsa», puntualizza il quasi centenario. «A quel punto la discussione si è animata. Io stavo cercando di allontanarlo mentre lui ha inteso questo gesto come se volessi dargli uno schiaffo, ma non è così».

Il pugno in bocca ha lasciato segni non solo sulla pelle, ma sul senso stesso di comunità. Perché a 97 anni – osserva Noli – «è facile cadere, picchiare la testa, avere un infarto. Non si può rischiare. Il messaggio dev’essere chiaro: chi alza le mani, qui non entra più». Con l’appoggio fermo della sindaca Sara Dossola, il direttivo ha scelto la linea dura: centro chiuso fino al 1° agosto. Una pausa forzata per lasciar decantare rabbie e dissapori, riscrivere le regole della convivenza e, forse, anche per ricordare che stare insieme richiede cura e ascolto, non solo presenza fisica. Nel frattempo, il centro è vuoto. Le sedie restano allineate come spettatori immobili, le carte giacciono nei cassetti come armi spuntate, le tombole tacciono, quasi in segno di lutto. Fuori, la vita prosegue, lenta e intermittente. Qualcuno mugugna contro la decisione, altri si danno appuntamento nei bar della zona, dove il caffè costa di più ma la tensione – per ora – è più bassa. Altri ancora restano a casa, davanti alla TV o affacciati alle finestre, ripensando a una socialità che forse, negli anni, si è trasformata in campo minato.

Il signore colpito, ferito nel corpo e forse anche nell’orgoglio, riflette se sporgere denuncia. Un gesto che peserebbe come una pietra, ma che avrebbe il sapore di una rivincita simbolica. Intanto, la dentiera – oggetto concreto e quasi poetico – potrebbe trovarsi ancora nel cestino, testimone muta di un tempo che sfugge e che restituisce, a tratti, immagini tragicomiche degne di una novella di Guareschi. Perché la vecchiaia, quando si accumula senza ascolto, può diventare rumore.

E quel rumore, ogni tanto, si traduce in pericolo. In una società che chiede agli anziani di essere miti e riconoscenti, dimentichiamo che dentro quelle rughe si agitano ancora orgoglio, frustrazione, senso di esclusione. Non è la rissa in sé a stupire: è l’idea che, anche in un’età estrema, le tensioni non trovino uno sbocco diverso dal pugno. E allora forse questa chiusura non è solo un provvedimento disciplinare. È una cartolina mandata a tutti noi, figli e nipoti, che troppo spesso affidiamo ai centri diurni il compito di «custodire» chi ci ha cresciuti.

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