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L'ultima vittoria di Garibaldi (e figlio)

La battaglia di Digione e il vessillo prussiano: il racconto di un'impresa, la bandiera rimasta a gloria dei garibaldini accorsi in aiuto della Repubblica francese
di Marco Patricelli giovedì 31 luglio 2025

3' di lettura

Di sicuro c’è solo che quella bandiera venne sottratta ai prussiani dai garibaldini nella guerra del 1870-1871, a Digione; che i tedeschi non la presero affatto bene e se la ripresero da un museo a Parigi quando l’occuparono nel 1940; e infine che cadde in mani sovietiche a Berlino nel 1945, per poi sparire per sempre. Il 61° reggimento di fanteria prussiana (8° Pomerania) del Kaiser si portò l’onta di aver perso lo stendardo di guerra contro la 4ª brigata dell’Armée des Vosges agli ordini di Giuseppe Garibaldi, consegnata nelle mani del figlio Ricciotti, che comandava il reparto, da Tito Strocchi e dal capitano Rostain.

La bandiera, rimasta a gloria dei garibaldini accorsi in aiuto della Repubblica francese, era stata strappata al nemico da un diciottenne originario della Savoia, Victor Curtat, tiratore del Mont Blanc, il quale durante la battaglia di Digione il 23 gennaio 1871 aveva abbattuto con una fucilata il soldato prussiano che portava il simbolo del reggimento e contravvenendo agli ordini era corso a impadronirsi del cimelio. Anche se allora poteva immaginarne l’importanza, non gliela riconobbero per molto tempo i francesi. Curtat finirà in seguito su alcune stampe per celebrarne il gesto eroico, ma non riceverà alcuna decorazione. Altri avevano avuto molto di più per molto meno.

Ma che l’unica vittoria francese in quella guerra fosse opera dei due Garibaldi, padre e figlio, era dura da mandare giù per gli sciovinisti transalpini che erano usciti con le ossa rotte da quella guerra. Il 28 gennaio i francesi firmarono l’armistizio con i prussiani, ma il settore del sud-est venne stranamente escluso dagli accordi: forse per sottolineare il rango inferiore di quell’esercito multinazionale di franchi tiratori e volontari comandato da Garibaldi, o perché probabilmente i tedeschi intendevano in qualche modo avere l’occasione per vendicare il cocente smacco.

Ma la vera umiliazione sarebbe arrivata per il generale vittorioso all’Assemblea nazionale francese del 12 febbraio 1871, alla quale partecipava come delegato eletto in ben sei circoscrizioni. Venne accolto con ostilità e lui, che si era presentato per dimettersi, non riuscì neppure a pronunciare quelle poche parole perché venne cacciato con insulti e grida contro lo «straniero» e l’«italiano». Le sue difese le prese nobilmente Victor Hugo, elogiando l’uomo che era intervenuto con la sua spada a difendere la Francia quando non l’aveva fatto nessun re e nessun altro stato europeo. Anch’egli subissato di fischi, si dimise in segno di solidarietà con Garibaldi. L’ultima guerra combattuta e vinta dall’eroe dei due mondi era d’altronde iniziata allo stesso modo ostile, perché gli ufficiali francesi si erano rifiutati di mettersi ai suoi ordini.

In seguito la pubblicistica francese si produrrà in basse insinuazioni sulla storia dello stendardo strappato al nemico, sostenendo che i due Garibaldi se ne sarebbero impadroniti a spese dell’eroismo francese. E il generale Ferdinand Foch nel 1903, dando alle stampe il libro Des principes de la guerre, scriverà di Garibaldi che con forze almeno cinque volte superiori era rimasto bloccato da una brigata prussiana di 4.000 uomini e che, pur avendo ricevuto un ordine, per motivi di orgoglio personale non era corso in aiuto all’Armata del Sud-Est battuta per questo. I nemici prussiani scrissero invece che se Parigi avesse assegnato a Garibaldi il comando un’armata regolare e non una di volontari la sconfitta di Digione per loro non sarebbe stata l’unica di quella guerra.

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