Con l’oceanico evento di Tor Vergata – preceduto dall’allegro sciamare di migliaia di giovani per le vie della città eterna – è davvero cominciato il pontificato di Leone XIV e si apre un nuovo orizzonte per la Chiesa del terzo millennio. Del resto già s’intravede la post -secolarizzazione: cominciano a sgretolarsi le ideologie anticristiane, antiumaniste e antioccidentali. Se ne colgono i segni negli eventi mondiali e nei cambiamenti culturali degli ultimi mesi a livello planetario, a cominciare da quegli Stati Uniti da cui proviene Robert Prevost (l’Europa è il continente più attardato nel vecchio nichilismo woke).
Il Giubileo dei giovani, nell’imponenza di quella spianata piena di ventenni, dopo anni di confusione e turbolenze (pure ecclesiastiche), ci pone davanti a qualcosa di affascinante: non solo mostra la perenne giovinezza della Chiesa, che è (ricordiamolo) un’istituzione bimillenaria e d’improvviso ci appare senza rughe. Ma anche evidenzia la presenza in essa di una forza strana che attrae e sembra invincibile, perché, inspiegabilmente, resiste a secoli di persecuzioni, resiste alle ideologie e ai poteri mondani, resiste senza eserciti all’irrompere di regimi e rivoluzioni, resiste alle eresie e agli scismi, resiste ai pontificati confusi e a quelli mondani, resiste alla pochezza degli uomini di Chiesa e ai loro tradimenti (a cominciare dagli apostoli, come documentano già i Vangeli), resiste a tutte le secolarizzazioni. Non solo resiste, ma diffonde ancor più la fede nel mondo.
Secondo i cattolici ciò accade perché non è un’istituzione solo umana e in essa vive e opera potentemente Colui che affermò: «Io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). In effetti Gilbert K. Chesterton notava il cristianesimo è morto più volte ed è sempre risorto, perché segue Colui che, unico, sa come uscire dal sepolcro. Leone XIV ha iniziato la giornata di sabato proprio parlando della resurrezione per confortare gli amici e i familiari di due ragazze che sono morte mentre stavano venendo al Giubileo. Era commosso, il Papa, davanti al mistero del loro destino e ha chiesto a tutti di pregare per loro.
Nell’omelia di domenica ha parlato della fragilità e della brevità della vita. E del Paradiso: «Aspiriamo continuamente a un “di più” che nessuna realtà creata ci può dare; sentiamo una sete grande e bruciante a tal punto, che nessuna bevanda di questo mondo la può estinguere. Di fronte ad essa, non inganniamo il nostro cuore, cercando di spegnerla con surrogati inefficaci! Ascoltiamola, piuttosto! Facciamone uno sgabello su cui salire per affacciarci, come bambini, in punta di piedi, alla finestra dell’incontro con Dio. Ci troveremo di fronte a Lui, che ci aspetta, anzi che bussa gentilmente al vetro della nostra anima (cfr Ap 3,20). Ed è bello, anche a vent’anni, spalancargli il cuore, permettergli di entrare, per poi avventurarci con Lui verso gli spazi eterni dell’infinito».
Don Roberto Regoli, storico della Chiesa, ha spiegato: «Questo è un Papa che guarda molto alla spiritualità, alla fede e al rapporto con Cristo. Questa è la linea del suo pontificato, mettere Cristo al centro della vita cristiana, ed è qualcosa che ha ribadito anche con i giovani». In effetti Leone, a Tor Vergata, nei suoi interventi non ha ripetuto i temi bergogliani, non ha obbedito all’Agenda di Repubblica che negli anni passati era seguita pedissequamente dagli ecclesiastici. Perché il tema della “pace”, quello sì molto presente, per il Papa è un tema teologico, non politico: nel pensiero agostiniano è la perenne aspirazione insoddisfatta della Civitas terrena e il tesoro custodito nella Città di Dio: è Gesù Cristo. Balenava questo nome in tutta la conversazione con i ragazzi. Se è sparita l’Agenda di Repubblica, non è sparita invece la vita reale dei giovani che hanno dato voce a tutte le loro domande e ai loro desideri.
Leone ha risposto concretamente e poi ha ricordato le parole di Giovanni Paolo II (pronunciate proprio a Tor Vergata): «È Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae...». Ha citato poi la vicenda di un giovane di un’altra epoca, Agostino di Ippona: «Anche lui è passato attraverso una giovinezza burrascosa: non si è però accontentato, non ha messo a tacere il grido del suo cuore. Cercava la verità che non illude, la bellezza che non passa. Come l’ha trovata? Come ha trovato un’amicizia sincera, un amore capace di dare speranza? Incontrando chi già lo stava cercando: Gesù Cristo. Come ha costruito il suo futuro? Seguendo Lui, suo amico da sempre».
Ha insistito molto sull’amicizia, il Papa, perché la vita cristiana è vita comunitaria. Non è un’amicizia sentimentale o astratta. Ha sottolineato: «Teniamoci uniti a Lui, rimaniamo nella sua amicizia, sempre, coltivandola con la preghiera, l’adorazione, la Comunione eucaristica, la Confessione frequente, la carità generosa, come ci hanno insegnato i beati Piergiorgio Frassati e Carlo Acutis, che presto saranno proclamati Santi. Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate».
Del resto il momento più emozionante è stato quando lui si è inginocchiato, restando a lungo così, davanti all’ostensorio e di colpo tutti quei giovani hanno fatto un silenzio impressionante. I volti dei ragazzi, inquadrati dalle telecamere, riflettevano il suo stesso raccoglimento, l’intensità della preghiera del cuore davanti alla presenza reale di Gesù che, per poter arrivare a tutti, ha scelto la cosa più semplice, umile e familiare: quella di un pezzo di pane. Non è intimismo, questo, ma fede vera. Infatti il Papa, diversamente dal recente passato, con le parole di Pier Giorgio Frassati ha invitato a testimoniare il Salvatore («la nostra stella polare») e a «combattere» nel mondo: «Vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere una lotta per la Verità non è vivere, ma vivacchiare». È una chiamata all’evangelizzazione e alla presenza nel nostro tempo con la propria identità. È cambiata l’aria.