Il Ponte sarà il simbolo del Sud

Il Ponte sullo Stretto di Messina è ormai una possibilità più che concreta, destinata a cambiare per sempre il volto del Sud, dell’Italia e non solo
di Spartaco Pupogiovedì 14 agosto 2025
Il Ponte sarà il simbolo del Sud

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Il Ponte sullo Stretto di Messina è ormai una possibilità più che concreta, destinata a cambiare per sempre il volto del Sud, dell’Italia e non solo. Realizzarlo significa innanzitutto imprimere una svolta strutturale al Mezzogiorno, restituendo centralità a Sicilia e Calabria, finora rimaste ai margini del sistema Paese. Con la nuova e attesa opera quelle due sponde dello Stretto possono finalmente diventare un nuovo polo strategico, un hub logistico e culturale non solo in termini di infrastrutture e posti di lavoro ma anche di visione, identità e futuro. Grazie al Ponte l’area dello Stretto diventa zona integrata che unisce Messina e Reggio Calabria sotto un’unica traiettoria di sviluppo. Qui si potrà finalmente programmare un’economia fondata sulle reali vocazioni del territorio, e cioè turismo culturale, valorizzazione agricola, trasformazione industriale, identità storica. Tutto ciò che oggi è disperso, frammentato, marginale, potrà finalmente trovare un centro. E non è detto che non possa trovarlo nella fondazione di una nuova Regione dello Stretto! Messina, del resto, non è solo Sicilia, così come Reggio non è solo Calabria.

L’una guarda all’altra, da sempre. La prima è erede di Zancle, città italica ed europea, con radici latine forti anche dopo l’influenza spagnola. La seconda è stata Grecia e Roma insieme, e custodisce i Bronzi di Riace, simbolo di un’identità culturale potente ma poco valorizzata. In mezzo, un territorio vasto e ricco: da Rometta a Taormina fino a Milazzo, teatro della vittoria navale della flotta romana sui cartaginesi nella prima guerra punica (260 a.C.), da Melito Porto Salvo a Scilla fino a Locri, città decantata da Platone nel Timeo. La nuova centralità potrà attrarre turismo, sì, ma non quello mordi e fuggi, caotico e inefficiente che si è visto fino ad oggi. Serve un turismo razionale da affiancare a un’agricoltura che sia finalmente impresa con la trasformazione dei bergamotti di Reggio, delle clementine calabresi, dei limoni e degli olii siciliani in prodotti ad alto valore aggiunto. In poche parole, c’è bisogno di un Sud che smetta di farsi compatire e inizi a farsi rispettare.

Territorio, economia, imprese, identità- tutto concorre a costruire un modello nuovo, serio, produttivo e duraturo. È allora il tempo della programmazione. Non ha più senso rifugiarsi nei vecchi schemi della “questione meridionale”. Non bastano più le analisi di Giustino Fortunato, che nel Sud vedeva una vittima storica dello Stato unitario che aveva imposto le sue regole senza comprenderne la specificità, e di Antonio Gramsci, che denunciava il dominio dell’élite feudale alleata con la borghesia industriale del Nord e immaginava una riscossa in chiave socialista. Queste letture ci restituiscono un Sud passivo, subalterno, che attende di essere riscattato dall’esterno: dallo Stato, dalla rivoluzione, dalla pietà. Il Sud non si emancipa con l’assistenzialismo, l’alibi del vittimismo o il rifiuto della responsabilità, ma con la competenza, l’intraprendenza, una visione economica concreta e fondata su logistica, turismo colto, industria agroalimentare e innovazione tecnologica. Il Sud non può più essere terreno per la sperimentazione di teorie politiche astratte. Può e deve essere il motore di una nuova vita nazionale, in cui il Ponte non rappresenta un mero capriccio ingegneristico, ma l’inizio di un’Italia più giusta, efficiente, interconnessa e finalmente orgogliosa del suo Mezzogiorno. Da un potente simbolo come il Ponte passa anche il destino dell’Europa, che senza un’identità resta una costruzione fragile. Chissà quanti cittadini europei, dopo averlo attraversato, si fermeranno a Messina e guarderanno il monumento a don Giovanni d’Austria. Ricorderanno che da lì, nel 1571, partì la flotta cristiana che vinse a Lepanto. E riacquisteranno la consapevolezza che l’Europa, quando è unita e coraggiosa, può affrontare qualsiasi sfida, anche quella di tornare a essere sé stessa.