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Mestre, choc a scuola: quanti sono gli italiani su 61 iscritti

di Luca Puccini venerdì 26 settembre 2025

3' di lettura

Ogni volta che il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara (Lega) entra sull’argomento viene travolto dalle critiche. È-ma-questa-è-l’Italia-del-domani, così-non-va, se-ne-faccia-una-ragione-anche-il-governo. Poi, però, il quotidiano è fatto di piccole realtà: come quella della scuola elementare Cesare Battisti di Mestre che, pochi giorni fa, ha riaperto i cancelli e, nelle nuove tre classe prime, hanno trovato un banco 61 piccoli alunni, tutti stranieri tranne un solo bimbo italiano. Non c’è niente di male, per carità: la dirigente Michela Manente fa bene a non voler farsi trascinare dalle polemiche (quindi a non commentare) e benissimo ad accogliere qualsiasi richiesta d’iscrizione arrivi alla sua segreteria, perché il compito della scuola (nel suo istituto, il Caio Giulio Cesare, oltre alla Battisti, ci sono una sezione per l’infanzia e una per le medie) è istruire gli scolari e da dove vengano, se siano di prima o di seconda generazione, se siano nati qui o no, dovrebbe fregare a nessuno (di certo non al personale che protocolla le domande). Tuttavia il caso resta emblematico.

Dal tetto per gli stranieri in classe (se ne parlava nel 2024) alla sostanziale scomparsa degli italiani in aula. Sì, è vero, i fattori da tenere in considerazione sono tanti e questa è una vicenda particolare (nel senso che altrove il rapporto è differente). Anzitutto va ricordato, come fa il Gazzettino dando la notizia, che i genitori italiani di Mestre, in linea generale, preferiscono mandare i propri figli in altre scuole e non alla Battisti: vuoi per comodità, vuoi per gli orari, vuoi perché son fatti loro. Significa che la situazione non è generalizzata, che quella è l’eccezione (e fa tutta la differenza del mondo). Poi va aggiunto che, diversamente dall’impietoso calo demografico che noi registriamo da anni, gli stranieri tendono a fare più figli (e, per fortuna, a mandarli a studiare): se l’analisi deve essere completa anche questo elemento è da considerare. Infine che a Mestre, e più ampiamente nel Nord Est veneto, ci sia oramai una forte presenza di residenti con un’altra cittadinanza è un dato pacifico (solo la comunità bengalese conta su qualcosa come circa 15mila persone che su una popolazione approssimativa di 200mila abitanti mica è uno scherzo).

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Appunto (forse è anche il motivo per cui Manente preferisce non esprimersi sull’argomento) al Giulio Cesare, fino a qualche tempo fa, al di fuori dell’orario scolastico, l’istituto offriva a chi lo volesse un corso di bangla ché, a costo di ripeterci, ognuno col proprio tempo libero fa quel che gli garba di più, però è indicativo della scelta di integrazione opzionata (non tanto dalla scuola, che risponde alle esigenze pratiche, quanto dal contesto). Un’iniziativa che aveva fatto discutere dalle parti della Laguna e che, quasi a mo’ di contraltare, è stata bilanciata dalla proposta di Sebastiano Costalonga, che a Venezia fa l’assessore al Commercio, di implementare una sorta di patentino linguistico (in italiano) per gli esercenti che, sulle calli, gestiscono una loro attività: la misura è rivolta, ovviamente, ai commercianti stranieri e intende promuovere il loro inserimento nel tessuto economico della città.

Dici Nord Est e ti viene in mente la gondola, San Marco e il vetro di Murano: in realtà è dagli inizi degli anni Novanta che l’immigrazione, lì, ha trovato un terreno fertile. Prima sono stati i cittadini di origine cinese, poi quelli dell’Europa dell’Est e dell’Africa e, adesso, è la volta dei bengalesi. Solo nei dintorni di Venezia, secondo alcune stime, ci sarebbero su per giù 30mila oriundi di Dhaka e dintorni e il resto è lo scenario appena descritto. A luglio, ossia appena un mese e mezzo fa, Valditara ha ricordato lo stanziamento di tredici milioni di euro per dei corsi (non solo in Veneto, la cifra andrà a ricoprire il fabbisogno nazionale) pomeridiani volti a «potenziare la conoscenza della lingua italiana» in relazione ai tanti ragazzi stranieri che frequentano (giustissimamente) le nostre scuole e che hanno un tasso di abbandono degli studi molto preoccupante: «Oltre il 30%, cioè circa un terzo dei ragazzi stranieri, abbandona la scuola e non completa quella dell’obbligo». Quando il ministro ha ricordato l’impegno in questo campo dell’esecutivo Meloni la sinistra si è messa in cattedra e ha cominciato ad accusarlo di svolgere della mera proponga ideologica. Le due classi su tre di Mestre senza la presenza di un alunno italiano probabilmente inquadrano il fenomeno meglio dei proclami dell’opposizione.

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