«Ho visto Kata in sogno. Era in aperta campagna, tra gli alberi. Ho chiesto dove si trovasse di preciso e la donna che era con lei ha risposto: “Siamo vicino a Firenze”». Katherine Alvarez Vasquez, 28 anni, peruviana, ha gli occhioni lucidi e lo sguardo triste, ma non perde la speranza di ritrovare sua figlia, che ora avrebbe 7 anni («È ancora viva, me lo sento e una mamma non sbaglia mai») e che è sparita nel nulla il 10 giugno 2023. E si aggrappa a tutto, pur di trovare conforto e aiuto. «Kata piangeva, aveva male alla pancia come le succedeva spesso. Questo sogno mi ha scosso e, per istinto, sono tornata subito là, all’hotel».
Già, l’ex albergo Astoril di via Maragliano, nel quartiere popolare Novoli (a nord della stazione centrale di Santa Maria Novella e vicino al tribunale) - chiuso nel 2020 dopo il Covid e, ai tempi, occupato illegalmente da immigrati - nel quale si è consumata la tragedia. Un grande stabile di tre piani, con un cortile interno e 58 stanze, nel quale inizialmente sono entrati, aiutati dal movimento “Lotta per la casa”, una settantina di persone tra cui una comunità di peruviani e dei cittadini rumeni. Dalla semplice occupazione alla malavita, però, il passo è stato breve - in pochi mesi gli ospiti sono diventati 128, tra cui 36 minori e la situazione si è fatta pesante tra schiamazzi, urla, litigi, spari e racket.
«Noi abitavamo lì da 6 mesi - racconta la mamma di Kata - e ci siamo arrivati grazie a un amico di mio fratello. Vivevamo nella stanza 104, ma cinque giorni prima della sparizione, pagando 2 mila euro, ci eravamo trasferiti in due nuove camere». L’ultima volta che Katherine ha visto sua figlia, quel 10 giugno, è stato di mattina. «Mi sono preparata per andare a lavorare e lei mi abbracciato. “Mamma, resta qui”, mi ha detto. Le ho spiegato che non potevo, le ho lasciato una banana per colazione e sono uscita». Al rientro nel pomeriggio, però, Kata non c’era più. «Ho chiesto dove fosse e mi hanno detto che l’avevano vista in giro cinque minuti prima e che, probabilmente, era andata con Lenny, l’altro mio figlio, al campetto di calcio. Non mi sono preoccupata e sono andata a farmi una doccia. Quando Lenny è tornato, dopo più di un’ora, gli ho chiesto: “E Kata?”. “No, mamma, non era con me”. In quel momento è scattato l’allarme, ma forse era già troppo tardi. L’abbiamo cercata ovunque, anche nelle camere chiuse a chiave che i romeni non volevano aprire. Ma niente».
L’ultima immagine della piccola è quella ripresa da una telecamera della via alle 15.32, quando scende la scala esterna dell’hotel. Poi il mistero. Il buio e una sparizione inspiegabile. Sì, perché l’ex hotel - ora sigillato e da poco acquistato all’asta giudiziaria per quasi 3 milioni di euro per costruire 25 appartamenti - è circondato da negozi e attività con sistemi di videosorveglianza. Nessuno dei quali, però, ha mai ripreso Kata. Ecco perché l’ipotesi più accreditata da chi indaga è che la piccola sia stata portata via da un cortile interno, scavalcando un muro di recinzione, passando in un’area condominiale di alcuni palazzi vicini e infine sbucando nella via laterale.
Sì, ma chi ha sequestrato Kata? E perché? Nessuno, a distanza di più di due anni, è riuscito ancora a dare una risposta: le piste seguite all’inizio- traffico di droga, racket delle stanze, scambio di persona e possibili abusi a sfondo sessuale - non hanno trovato riscontri e il risultato è che le indagini, tutt’oggi, sembrano a un punto morto. I primi sospetti si erano concentrati su due donne e un rumeno, ripresi dalle telecamere mentre uscivano - il giorno della scomparsa - dall’hotel con due trolley e un grosso borsone (che per dimensioni avrebbero potuto occultare la bambina), ma i rilievi effettuati non avevano trovato tracce della bimba. E così, al momento, gli unici due indagati (per sequestro di persona a scopo di estorsione, ma la loro posizione presto potrebbe essere archiviata) sono gli zii della bimba: quello materno, Abel Alvarez Vasquez, 29 anni, detto Dominique (difeso dall’avvocato Elisa Baldocci), e quello paterno, Marlon Edgar Chicclo, 19 anni.
A legare Abel Alvarez Vasquez alla sparizione, però, c’è però anche un altro episodio accaduto il 28 maggio e per il quale l’uomo era stato arrestato: un raid punitivo per il racket delle stanze che aveva portato un 40enne dell’Ecuador ad appendersi al davanzale della finestra, per il timore di essere ucciso, e poi a precipitare dal terzo piano. Una delle supposizioni della Procura, quindi, è che Kata poi possa essere stata rapita per vendetta. «Di screzi all’ex hotel ce ne sono stati, ma nessuno così grave da portare al sequestro di una bambina- precisa la mamma della piccola - La mia idea, invece, è che mia figlia possa essere stata venduta da qualcuno dei rumeni che vivevano lì: conoscevano meglio di tutti lo stabile perché erano stati i primi ad abitarci».
Ipotesi che, però, non è condivisa dalla criminologa Stefania Santorini, che si occupa del caso come consulente del papà di Kata (attualmente in carcere per altri reati). «Io credo che la comunità rumena non c’entri, secondo me bisogna pensare a qualcuno vicino alla famiglia, qualcuno che conosceva bene l’ambiente e le abitudini. Questo caso, comunque, non lo considero un sequestro, ma una cessione: Kata, probabilmente, è stata venduta». Non solo. «Il problema è che fin dal principio- spiega ancora la criminologa - le indagini sono state fatte un po’ a caso commettendo una serie di errori clamorosi: i famosi borsoni sono stati analizzati in ritardo e, soprattutto, il sopralluogo vero e approfondito allo stabile è stato effettuato 18 ore dopo la scomparsa lasciando che, nel frattempo, la scena del crimine venisse contaminata. Ecco perché si può anche ipotizzare che la piccola, inizialmente, sia stata tenuta nascosta lì e poi sia stata portata all’esterno durante la notte, sfruttando il buio. L’altro aspetto che merita una riflessione, poi, è che il caso di Kata non risulta tra gli avvisi internazionali dei bambini scomparsi: io lavoro spesso in Spagna e nessuno, là, sa chi è Kata. Secondo me, invece, è proprio all’estero chela si dovrebbe cercare».
Sequestro, vendita, pedofilia, vendetta, traffico di organi: tante, tantissime ipotesi ma, finora, nessuna novità significativa. La Procura di Firenze che da dieci giorni è guidata dal nuovo capo Rosa Volpe- lo scorso giugno ha diffuso una foto, ottenuta attraverso la rielaborazione digitale, di come potrebbe essere la piccola peruviana oggi, a 7 anni.
«Non la riconosco, non penso che sia cresciuta così tanto sussurra timidamente Katherine, la mamma di Kata - Come è la mia vita senza di lei? Abito in una casa assegnatami dal Comune con l’altro mio figlio Lenny, che frequenta la quinta elementare ma ha delle difficoltà dovute al trauma: balbetta, fa fatica a esprimersi ed è seguito da un neuropsichiatra. Io lavoro come cassiera in un supermercato, ma è dura andare avanti: c’è stato un momento in cui avevo perso ogni speranza e voglia di lottare, ma poi ho capito che devo farlo anche solo per Lenny. Mi ha aiutata molto avvicinarmi alla chiesa evangelica, la fede mi dà forza. Mio marito Miguel? È in carcere e non stiamo più insieme, però abbiamo mantenuto un buon rapporto». Katherina spalanca gli occhioni lucidi. Prova a sorridere. «L’importante è che se ne parli, il caso di mia figlia non va dimenticato. Ho mandato un messaggio a Papa Leone, ma non so se gli è arrivato. Lui conosce bene il Perù e noi peruviani, spero tanto in un suo appello per aiutarci a ritrovare Kata».