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Il pericolo islamista dimenticato da noi (e nascosto da loro)

C'è un grande tema "indicibile": l'islamofobia. Finora l’Italia è stata risparmiata da grandi azioni terroristiche, ma lo stesso non si può dire per numerosi altri paesi europei. Eppure guai parlarne
di Daniele Capezzone giovedì 20 novembre 2025

3' di lettura

Accanto alla questione (tabù, tranne che per Libero e pochissime altre voci) del rapporto tra criminalità e immigrazione incontrollata, c’è l’altro grande tema rimosso, indicibile, anzi automaticamente esposto - per chiunque osi sollevarlo- all’accusa di “islamofobia”. Si tratta - inutile girarci intorno - del rischio dell’integralismo islamista a casa nostra. Parliamoci chiaro: se almeno per qualche mese in Medio Oriente si può sperare in uno spiraglio di tregua, nulla ci garantisce rispetto all’ipotesi di un’offensiva di tipo diverso nelle nostre città, nel cuore dell’Occidente. Per paradosso, dunque, ora si rischia più “qui” che “lì”, e sia gli strateghi del fondamentalismo sia i loro piccoli emuli in franchising, fino agli inafferrabili lupi solitari, possono darsi l’obiettivo di fare dell’Occidente il campo di svolgimento del secondo tempo della partita, visto che il primo tempoquello disputato in Medio Oriente - è stato nettamente perduto da Hamas.
Venendo a noi, le insidie sono multiformi. Finora l’Italia è stata risparmiata da grandi azioni terroristiche, ma lo stesso non si può dire per numerosi altri paesi europei: Spagna, Francia, Germania, Belgio, per citarne solo alcuni.

Anche qui, tuttavia, abbiamo in circolazione soggetti che invocano rappresaglie contro “traditori, infedeli e collaborazionisti”. Prediche infiammate che prima o poi qualcuno potrebbe trasformare in azioni. Non solo. A livello globale (da New York a Londra, e presto forse anche a Parigi) il mix di democrazia e demografia, di metodo elettorale (di cui siamo ovviamente fieri) e tendenze demografiche (che invece devono inquietarci), proietta “naturalmente” candidati islamici verso cariche pubbliche di assoluto rilievo. Molto spesso - peraltro - con una carica di ambiguità che continua ad aleggiare. Questo giornale vi ha più volte raccontato (e lo fa anche oggi) il numero crescente di islamici, dal Regno Unito alla Francia, che, se fossero ipoteticamente chiamati a scegliere tra legge ordinaria e sharia, non avrebbero esitazioni a far prevalere - con ogni mezzo - il loro ordinamento religioso, non di rado interpretato in chiave massimalista. Vogliamo far finta che il tema non esista? Giriamo la testa dall’altra parte?

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Quando sono stato audito in Commissione Segre, ho ribadito una proposta di limpida impronta liberale che è ben nota ai lettori di questo giornale, a proposito dell’associazionismo e della vita culturale e religiosa delle comunità islamiche. Occorre un censimento (uso appositamente un concetto sdoganatissimo, che evoca solo positive esigenze di trasparenza) di tutti i luoghi di culto, di incontro e di associazionismo ispirati all’Islam sul nostro territorio. La medesima trasparenza va richiesta sulle relative fonti di finanziamento. Mi sembra il minimo sindacale, a maggior ragione in assenza di un’intesa con lo stato italiano che non è stata possibile per ben due volte (con governi di centrosinistra e di centrodestra) a causa delle diverse scelte proprio delle comunità islamiche, contrarie a questa fondamentale esigenza di “visibilità” dei sostegni ricevuti. Ecco, questa mancata intesa non può significare mancanza di trasparenza su attività, persone, finanziamenti.

Che cosa deve accadere affinché il problema venga finalmente discusso e affrontato senza anatemi? E- soprattutto - senza che a sinistra si cominci a sparacchiare a casaccio usando l’etichetta dell’“islamofobia”? Il tema è urgente, direi anzi indifferibile. Anche perché (infrangiamo un altro tabù) occorre fare i conti con un concetto non noto ai noi “infedeli”: è la cosiddetta taqiyya, che potremmo tradurre con “dissimulazione”. Un islamico molto convinto, e nel caso peggiore un islamista animato da cattive intenzioni, ha la possibilità (anzi: il dovere) di nascondere le sue intenzioni, se necessario di negare la sua stessa appartenenza religiosa, dando l’idea di un’adesione serena al contesto sociale in cui oggi si trova, salvo poi fare tutt’altro. Ciò è ipotizzabile per ragioni “difensive”, se cioè l’islamico si sente sotto attacco, e dunque sceglie di dissimulare. Ma è anche ipotizzabile se l’islamista (uso appositamente questo termine al posto di islamico) ha intenzioni offensive e aggressive, se punta in una forma o nell’altra a imporsi, a prevalere, a fare male.

In questo scenario (le analisi serie devono sempre prevedere anche l’ipotesi peggiore), la menzogna e l’occultamento delle proprie intenzioni sono parte essenziale del piano aggressivo. Avete presente quando in giro per l’Europa, dopo un fattaccio di sangue addebitabile a un integralista, si sente dire con stupore che il colpevole “sembrava integrato”? Appunto: sembrava. Anzi: era riuscito a sembrarlo, a farlo credere. È bene saperlo e regolarsi di conseguenza. Prima che sia troppo tardi.

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