Il pensiero serpeggia tra i corridoi delle caserme di tutta Italia: se questa non è persecuzione giudiziaria, poco ci manca. Dopo la seconda chiusura delle indagini da parte della Procura di Milano sul caso Ramy - sette carabinieri andranno probabilmente a processo con accuse che spaziano dall’omicidio stradale al depistaggio, fino al falso ideologico - uomini e donne dell’Arma faticano a digerire le motivazioni dei pm. Del resto, se contesti a un vicebrigadiere di aver tenuto una velocità troppo alta durante un inseguimento è difficile non generare reazioni. Il messaggio che rischia di passare è tanto semplice quanto terribile: scoraggiare le forze dell’ordine a fare il proprio mestiere, ovvero dare la caccia ai delinquenti.
Il Nuovo sindacato carabinieri non ha dubbi: i fatti del 24 novembre del 2024, nella banlieue milanese del Corvetto, riportano «drammaticamente l’attenzione sulle fragilità procedurali che quotidianamente pesano sul personale in uniforme». I militari hanno «il massimo rispetto per l’operato della magistratura» e sono «convinti che la verità emergerà pienamente» ma ritengono necessario «guardare oltre il singolo fascicolo e agire subito sul sistema». L’atto dovuto, è il ragionamento, rappresenta «un grave rischio per l’efficacia del sistema di sicurezza nazionale».
Per questo, lo scorso settembre, il sindacato aveva lanciato un’iniziativa popolare per arrivare a una proposta di legge dal titolo “Disposizioni per il superamento dell’atto Dovuto e per la tutela del personale delle forze di polizia e delle forze armate nell’esercizio delle proprie funzioni”. Tradotto: evitare l’automatismo dell’iscrizione nel registro degli indagati per tutti quegli agenti che loro malgrado si trovano costretti a sparare o a intraprendere pericolosi inseguimenti per fermare i delinquenti. Lega e Fratelli d’Italia, in tal senso, si sono già mossi e novità importanti dovrebbero comparire all’interno del nuovo “pacchetto sicurezza” del governo. Delle 50mila firme necessarie per sottoporre la legge al Parlamento, ne sono già state raccolte la metà. Gli italiani stanno con le divise.
«Il Carabiniere opera in un contesto di rischio intrinseco, dove la rapidità di decisione e l’efficacia dell’azione sono cruciali per la sicurezza pubblica. Ma chi ci tutela?», si chiede Michele Capece, segretario generale vicario del Nuovo sindacato carabinieri (NSC). «Su un punto dobbiamo essere consapevoli: la serenità operativa dell’operatore in uniforme è il primo tassello per costruire sicurezza. La nostra battaglia sindacale si concentra oggi sulla proposta di legge di iniziativa popolare per garantire una tutela a 360 gradi agli operatori. Questa non è una richiesta di privilegio, ma un prerequisito fondamentale per la sicurezza di tutti», precisa Capece.
Quanto allo specifico caso di Milano, secondo il sindacalista dell’Arma, «l’esitazione operativa è il rischio più grande che questo sistema di “atto dovuto” potrebbe generare». Il motivo? «Se un carabiniere comincia a valutare che con una sua azione operativa rischia di essere coinvolto in un calvario giudiziario ed economico per anni, la sua capacità decisionale in situazioni di emergenza sarà inevitabilmente compromessa. Questo non è un problema che riguarda solo l’Arma, ma la sicurezza di tutti. Le vittime finali di questo sistema saranno i cittadini, che avranno forze dell’ordine costrette a lavorare con il freno a mano tirato».