È difficile aumentare la percezione di sicurezza dei cittadini in un Paese dove i carabinieri che inseguono chi non si ferma a un posto di blocco vengono processati. Ed è difficile dare la colpa di questo al governo, se a chiedere l’incriminazione degli agenti sono i pm. Ogni riferimento alla richiesta della Procura di Milano di processare per omicidio stradale il carabiniere che guidava l’auto lanciata all’inseguimento di Ramy Elgaml e Fares Bouzidi nella notte del 24 novembre 2024 è non causale. Secondo il codice penale, all’articolo 589 bis, perché ci sia l’omicidio stradale devono concorrere due elementi. Il primo è che il decesso sia stato provocato non volontariamente ma in seguito a un comportamento colposo, quindi per negligenza, imprudenza o imperizia di chi ha agito. Il secondo è che l’autore abbia violato le norme del codice della strada. Di fatto, l’omicidio stradale è una variante dell’omicidio colposo; più grave però, visto che uno è punito con la reclusione da due a sette anni mentre l’altro con quella da sei mesi a cinque anni.
Secondo il quadro tracciato dai pm pertanto, il carabiniere che ha inseguito i ragazzi ha una forte responsabilità nella morte di Ramy, equiparabile a quella che ha il fuggitivo Fares. Sul giovane che guidava lo scooter a più di cento all’ora, in contromano e senza rispettare la segnaletica e ha messo a rischio, oltre alla vita dell’amico, la propria e quelle dei passanti e delle forze dell’ordine pende infatti la medesima richiesta d’accusa che grava sull’agente. Il carabiniere però, nella visione della Procura, è ancora più responsabile di Bouzidi, infatti deve pagare anche per le lesioni gravi che il giovane si è procurato schiantandosi contro un palo a tutta velocità. Insomma, la prima preoccupazione di un agente che insegue un presunto criminale, secondo i magistrati, non dev’essere acciuffarlo bensì stare attento che non si faccia male. Dura mantenere la sicurezza a queste condizioni. E ipocrita affermare che la percezione di insicurezza dipende dal governo; più plausibile che dipenda dall’impunità del crimine. Al giornalista e al cittadino poi forse vale la pena spiegare che senso ha rimproverare a un carabiniere che insegue un marrano il fatto di non aver rispettato il codice della strada. È compatibile il rispetto del codice della strada con un inseguimento? Per esserlo, l’inseguitore non dovrebbe superare i 50 all’ora, dovrebbe rallentare ai segnali di precedenza, non bruciare i semafori, fermarsi quando c’è un passante in prossimità delle strisce pedonali. A queste condizioni, perfino io riuscirei a seminare la polizia e sarei tentato di non fermarmi se mi mostrassero una paletta. C’è raziocinio, per spuntare un’incriminazione più grave, a contestare le violazioni stradali? Non era bastevole l’accusa di omicidio colposo per chi ha fatto il proprio lavoro a rischio della propria vita per garantire la sicurezza dei cittadini?
Quanto alla colpa degli agenti, si rammenta che la Procura chiese una perizia di parte, che scagionò del tutto le divise. Evidentemente non soddisfatti, i pm si sono rivolti ad altri esperti, sostenendo che le auto inseguitrici andassero troppo veloci, fossero troppo vicine allo scooter che scappava e avessero insistito troppo a lungo nel tentativo di raggiungere i fuggitivi. Anche qui c’è da chiedersi come si possa pretendere che le forze dell’ordine possano garantire la sicurezza dei cittadini se non possono inseguire i criminali per più di cinque minuti, se devono farlo adagio e se, quando si avvicinano troppo, devono rallentare per evitare di raggiungerli. Immaginiamo per un attimo cosa comporterebbe la condanna del carabiniere di Ramy. Per i maranza che con i loro coltelli infestano Milano, sarebbe un segnale di via libera: avanti ragazzi, fate e se una guardia vi ferma, scappate, tanto non può inseguirvi. Per le forze dell’ordine sarebbe un monito a smettere di fare il loro lavoro. È questa la ricetta per la sicurezza che hanno in mente i pm che seguono il caso?