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Famiglia nel bosco-choc: davanti ai giudici… a cosa sono costretti i bimbi

di Simona Pletto lunedì 22 dicembre 2025

3' di lettura

La vigilia è una corsa contro il tempo e contro le parole. Perché ora, sulla “famiglia del bosco”, non si consuma soltanto una vicenda giudiziaria complessa, ma si concentra una decisione chiave: sarà il Tribunale per i minorenni dell’Aquila a stabilire se i tre bambini allontanati dal casolare di Palmoli, in provincia di Chieti (Abruzzo), potranno tornare a casa in tempo per Natale, insieme ai genitori, anche solo in forma temporanea e sotto la vigilanza dei servizi sociali. È lì che, nelle prossime ore, potrebbe sbloccarsi una storia che da oltre un mese divide la famiglia anglo-australiana. Ma anche l’opinione pubblica italiana, spaccata in due sulla bontà o meno della decisione di strappare i pargoletti alla loro famiglia naturale a cui piace vivere con la lancetta spostata indietro nel tempo.

La Corte d’Appello dell’Aquila, con l’ordinanza del 19 dicembre, ha respinto il reclamo urgente presentato dai legali di Catherine Birmingham e Nathan Trevallion contro la sospensione della responsabilità genitoriale e l’allontanamento dei figli, ritenendo il provvedimento fondato sotto il profilo giuridico. Ma nello stesso atto ha rimesso ai giudici minorili ogni valutazione successiva, aprendo di fatto lo spazio per una decisione diversa sul piano pratico e immediato, legata alle condizioni attuali della famiglia.

Il passaggio centrale resta l’ascolto dei minori. La Corte ha stabilito che i tre bambini – due gemelli di sei anni e una sorella di otto – dovranno essere sentiti nuovamente dal Tribunale per i minorenni, senza la presenza dei genitori, così da garantire un’espressione libera e non condizionata. Un atto che i giudici definiscono non istruttorio ma essenziale, in quanto diritto del minore e strumento di autodeterminazione. Solo dopo questa audizione potrà essere valutata l’ipotesi di un ricongiungimento, anche temporaneo.

Nelle 23 pagine dell’ordinanza firmata dalla presidente Nicoletta Orlandi emerge un quadro articolato. Da un lato, la Corte riconosce gli «apprezzabili sforzi di collaborazione» compiuti dai genitori nelle ultime settimane, parlando di un possibile superamento del «muro di diffidenza» inizialmente opposto agli interventi delle istituzioni. Dall’altro, vengono ribadite le criticità che hanno motivato l’allontanamento, a partire dal profilo sanitario: al momento del prelievo, il 20 novembre, uno dei bambini presentava una bronchite acuta con broncospasmo non segnalata e non curata.

Non meno rilevanti le valutazioni sul piano scolastico. Pur confermando la legittimità dell’istruzione parentale, i giudici evidenziano la mancanza di documentazione per il primo anno della figlia maggiore e sottolineano come le competenze accertate dopo l’ingresso in casa famiglia non risultino coerenti con le certificazioni prodotte negli anni precedenti.

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CHE SCONTRO
Sul piano istituzionale, intanto, il caso ha innescato una polemica aperta con l’Anm Abruzzo. I legali della famiglia, Marco Femminella e Danila Solinas, hanno duramente criticato l’intervento del sindacato delle toghe, accusato di essere entrato nel merito di un provvedimento cautelare. «La magistratura non solo deve essere terza, ma deve anche apparire tale», scrivono gli avvocati, giudicando «fuorviante e pericoloso» richiamare la correttezza di un’ordinanza per difendere l’autonomia dell’ordine giudiziario. Secondo i legali, simili prese di posizione rischiano di sovrapporre piani distinti: la solidarietà verso i magistrati e la valutazione giuridica dei singoli atti. L’auspicio, ribadiscono, è che l’esercizio della giurisdizione resti confinato «nei luoghi deputati», senza letture simboliche o politiche. Nel frattempo, la quotidianità della famiglia resta sospesa. Catherine vive nella struttura che ospita i figli e può incontrarli solo negli orari stabiliti. Nathan è rimasto a Palmoli, diviso tra il rudere nel bosco e una casa messa temporaneamente a disposizione.

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