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Il Natale dell'Agnello che porta Dio nella storia

Il commento di Benedetto del 2014 al Vangelo di Giovanni Battista: l’incarnazione crea una quantità di amore che è più grande del male sulla Terra
martedì 23 dicembre 2025

8' di lettura

Pubblichiamo l’omelia inedita di Joseph Ratzinger, “L’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, pronunciata il 19 gennaio 2014 nella Cappella privata del Monastero Mater Ecclasiae dove papa Benedetto XVI dimorava dopo la storica rinuncia al ruolo di Pontefice. Il discorso è contenuto nel libro «Dio è la vera realtà. Omelie inedite 2005-2017. Tempo ordinario» (pp. 448, euro 25, Libreria Editrice Vaticana). Il volume raccoglie 82 prediche pronunciate da Joseph Ratzinger, sia da Papa «regnante» sia da Papa emerito.

Cari amici, nel Vangelo abbiamo ascoltato la testimonianza di Giovanni Bttista su Gesù. Egli indica tre elementi: primo «l'agnello di Dio»; secondo, «era prima di me», e così indica la preesistenza, vale a dire che questo Gesù, pur arrivando tardi nella storia, era da sempre, è il Figlio di Dio; e terzo, questo Gesù non solo predica, non solo invita alla conversione, ma dà una nuova vita, una nuova nascita, ci dà una nuova origine attirandoci in sé.

In questi tre elementi è presente tutta la fede cristologica della Chiesa: la fede nella redenzione dal peccato, la fede nella divinità di Cristo e la fede nella nuova nascita di noi cristiani.

Non c’è solo confessione e dottrina, ma anche la vita liturgica cultuale: il primo punto, l’agnello di Dio, ci indica la Pasqua dei cristiani, ci indica il mistero dell’Eucaristia, e il terzo addita il mistero del Battesimo; così sono presenti i Sacramenti fondamentali e la fede fondamentale nella divinità di Gesù.

DALLA GENESI ALL'APOCALISSE

Per non dilungarmi troppo, adesso vorrei meditare con voi solo il primo punto, che forse è anche il più difficile per noi: «L’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo». Che cosa vuol dire che il Figlio di Dio, Gesù, viene chiamato «agnello, agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo»?

Questa parola, “agnello”, nella Sacra Scrittura è una parola fondamentale: la troviamo dalla Genesi fino all’Apocalisse, anzi è la parola centrale dell’Apocalisse, poiché qui per ben 28 volte Gesù appare come agnello e centro della storia del mondo. Vediamo tre testi fondamentali. Ne troviamo un primo accenno, una prima previsione, nella storia di Abramo: l’immolazione di Isacco (cfr. Gen 22).

Abramo era stato invitato da Dio a dare suo figlio, che era il suo futuro, il rapporto tra lui e la promessa, quindi era la sua propria vita. Dando Isacco rinunciava al futuro, rinunciava alla sua propria vita, e questo era l’invito: dare se stesso nel figlio. Ma nel momento in cui vuole uccidere il figlio, passando dall’atto fondamentale del cuore all’atto del sacrificio esterno, Dio interviene, lo impedisce, e Abramo stesso trova e vede, impigliato nel cespuglio, un agnello, e capisce: «Dio stesso mi provvede il dono». Dio non vuole la nostra morte, ma la nostra vita, e noi possiamo dare a Dio solo dei doni dati da Lui stesso, come diciamo nella prima Preghiera eucaristica: Dio stesso mi dà quanto io posso dare, quanto io do è sempre dono suo, Dio dà se stesso. Nel Vangelo di san Giovanni – al capitolo ottavo – c’è un testo sorprendente, dove Gesù dice: «Abramo vide il mio giorno e si rallegrava» (Gv 8,56). Non sappiamo a che cosa accenni l’Evangelista, non sappiamo come e quando Abramo abbia visto il giorno di Dio per rallegrarsi; ma forse possiamo pensare chiaramente a questo momento nel quale vede l’agnello e così, da lontano, vede il vero agnello, il Dio che si fa agnello, il Dio che dona se stesso 13 nel Figlio, e vedendo questa grandezza dell’amore di Dio, che dà se stesso facendosi agnello, gioisce, capisce tutta la bellezza della sua fede, la grandezza, la bontà e l’amore di Dio.

Poi gli altri due testi fondamentali sono uno nell’Esodo, l’istituzione della Pasqua (cfr. Es 12,1-14), e l’altro nel profeta Isaia, il quarto canto del Servo di Dio (cfr. Is 52,13-53,12). In quello di Isaia, in un duplice senso, il Servo appare come agnello; viene detto: «Si comporta come un agnello, come una pecora che viene guidata all’uccisione, non apre più la bocca», si fa uccidere senza opporsi. Ma, oltre al fatto che il Servo si comporta come agnello destinato alla morte, c’è una cosa più profonda, ed è che la parola “Servo” (talja’ in aramaico) può anche essere interpretata come “agnello”, cioè il Servo stesso è l’agnello, nel Servo si realizza la sorte dell’agnello, egli diventa l’agnello per noi tutti.

Il testo dell’Esodo è l’istituzione della Pasqua. Come sappiamo, è la notte della liberazione dall’Egitto e il sangue dell’agnello difende Israele contro la morte, e nello stesso tempo apre la porta alla libertà; è notte della liberazione, notte della vittoria sulla morte, notte della libertà: il tutto centrato sul sangue dell’agnello. Perciò è così importante che, nel capitolo 19 del suo Vangelo, san Giovanni ci comunichi che Gesù è stato trafitto dal soldato romano proprio nel momento in cui nel tempio si uccidono gli agnelli pasquali. Questa identificazione, questa contemporaneità al minuto, ci dice: «Il vero agnello è Gesù».

L’animale agnello non può liberare, non può difenderci davanti alla morte; l’agnello è solo un segno, un segno di aspettativa. Il vero agnello muore in quel momento: Gesù è l’agnello pasquale e così comincia la vera Pasqua, la liberazione dalla morte, l’uscita nella libertà dei figli di Dio.

Per noi oggi è molto difficile capire queste cose, che sono misteriose. Il mistero dell’Incarnazione e della Pasqua, cioè che Dio si fa uno di noi e porta i nostri pesi, noi oggi lo comprendiamo difficilmente. Vorrei tentare di proporre due idee per avvicinarci alla sua comprensione.

La prima: l’angelo di Dio riconosce gli amici di Dio dal sangue dell’agnello messo sull’architrave delle porte. Il sangue dell’agnello è segno degli amici di Dio. Adesso, come potremmo noi essere segnati così? L’architrave della porta del mio essere come può essere segnata dal sangue dell’agnello che Dio riconosce? Questo è un mistero. Forse possiamo dire che essere marcato dal sangue dell’agnello, così che Dio mi riconosca, vuol dire entrare nei sentimenti di Gesù, identificarsi con Gesù. Il suo sangue è segno della sua donazione, del suo amore infinito, della sua identificazione con noi; entrare nei sentimenti di Gesù vuol dire che veramente sull’architrave del mio essere c’è questo sangue, questa consanguineità con Gesù, che conosce Dio e Dio riconosce in noi.

IL PROFUMO DEL PADRE

Mi è venuta in mente anche un’altra immagine: Papa Francesco parla spesso del pastore che deve conoscere l’odore, il profumo delle pecore, e avere lui stesso l’odore delle pecore.

Potremmo dire: noi dobbiamo cominciare a conoscere l’odore, il profumo di Cristo, e noi stessi avere questo profumo di Cristo, essere pecore di Cristo con il suo profumo, con il nostro modo di pensare e di vivere. Preghiamo il Signore che ci dia questa identificazione crescente, giorno per giorno, nell’incontro dell’Eucaristia. Il suo profumo diventi il nostro e Dio possa sentire il profumo del Figlio, e così possiamo essere guidati, protetti dalla bontà divina.

L’altra idea è: san Giovanni qui non dice «i peccati del mondo», ma «colui che porta il peccato del mondo» (cfr. Gv 1,29). È molto difficile capire questa cosa, io cerco di farlo con un’approssimazione. Sappiamo tutti che nel mondo c’è una massa di male terribile, di violenza, di arroganza, di lussuria; ogni giorno vedendo il telegiornale, leggendo il giornale, vediamo come la massa del male, dell’ingiustizia del mondo cresce in permanenza. Come rispondere a tutto questo? Sarebbe possibile solo se nel mondo ci fosse una massa ancora più grande di bene, che possa vincere; solo partendo da questo ci può essere perdono. Il perdono non può essere solo una parola, non cambierebbe niente; il perdono dev’essere coperto da una realtà precedente di bene che sia sufficientemente forte per distruggere realmente questo male, per eliminarlo.

Questo è il senso della passione di Cristo, che con il suo amore immolato crea una massa di bene nel mondo che è infinita, e perciò è sempre più grande della massa del male, e così questo è superato, il male perdonato, il mondo cambiato. Questa è la realtà dell’agnello, di Dio che si fa uomo, si fa agnello e crea una quantità – per così dire – di amore e di bontà che è sempre più grande di tutta la quantità del male che esiste nel mondo. Così “porta” il male del mondo e ci invita a prendere la nostra posizione, a collocarci dalla sua parte.

San Paolo ha usato una formula audace: «Noi dobbiamo completare quanto manca della passione di Cristo» (cfr. Col 1,24). La passione di Cristo è un tesoro infinito e noi non possiamo aggiungervi nulla, e tuttavia il Signore ci invita a entrare in questa massa del bene, a completarla in noi con il nostro modo di vivere umile e povero, e così stare con Cristo nella lotta contro il male, aiutarlo, sapendo allo stesso tempo che porta anche il mio male e perdona anche me col tesoro della sua intimità, della sua bontà.

Tutto questo non è solo dottrina, ogni giorno è realtà nella Sacra Eucaristia. Il sacerdote dice proprio quanto dice san Giovanni, si fa voce di san Giovanni: «Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo», ci invita a vedere con il nostro cuore questa grandezza dell’amore di Dio, che si fa dono per noi, si fa agnello per noi, si dà nelle nostre mani.

E, prima, cantiamo tre volte l’“Agnello di Dio”, che è nello stesso tempo un canto pasquale, sulla passione di Cristo e sulla vittoria di Cristo; ed è un canto nuziale, perché questa comunione è anche sposalizio: Cristo si dà a noi, si unisce con noi e così realizza realmente le nozze dell’umanità con Dio, ci fa entrare nelle sue nozze. La parola con la quale, secondo la nuova liturgia, il sacerdote invita alla comunione: «Beati gli invitati alla cena del Signore», nell’originale dell’Apocalisse suona: «Beati gli invitati alla cena delle nozze dell’agnello».

Così appare tutto il mistero dell’Eucaristia – nozze dell’agnello, cena delle nozze dell’agnello –, che è entrare in questo grande avvenimento, che supera la nostra comprensione, la nostra intelligenza; tuttavia possiamo indovinare la grandezza dell’amore di Dio, che si unisce a noi, che ci chiama nelle nozze dell’unità nuziale nella sua bontà, nel suo amore.

Come ho detto, nell’Apocalisse l’agnello appare 28 volte: è il centro della storia dell’universo; l’universo e la storia si inchinano davanti all’agnello (cfr. Ap 5,5-14). Entriamo in questo gesto della liturgia cosmica, della liturgia universale, inchiniamoci davanti a questo mistero e preghiamo il Signore che ci illumini, ci trasformi, ci renda partecipi di questo amore, di queste nozze dell’Agnello. Amen!

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