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Milano, cafoni al bando: la Scala reintroduce il codice d'abbigliamento

di Daniele Priori lunedì 7 luglio 2025

3' di lettura

Libiamo, sì ma con grazia e soprattutto con eleganza. In altre parole, al Teatro alla Scala di Milano non saranno più ammessi spettatori che indossino canottiere, pantaloni corti o ciabatte. Tutto ciò perché nel tempio dell’opera milanese è tornato ufficialmente il dress code obbligatorio e sarà davvero vietatissimo sgarrare.
Ad annunciare il “giro di vite” è la direzione stessa del teatro che da qualche giorno sta avvisando il pubblico di paganti e abbonati, sul merito di questa piccola stretta, resasi necessaria dopo un proliferare, negli ultimi anni, di look parsi a molti del tutto inappropriati.

Sul sito del Piermarini l’invito compare nella sezione “Come vestirsi” resta più generico e esorta il pubblico pagante «a scegliere un abbigliamento consono al decoro del Teatro, nel rispetto del Teatro stesso e degli altri spettatori». Appello riproposto anche con appositi cartelli fisici all’interno della struttura. Come dire: non ci saranno alibi e tantomeno sconti. Anche perché, se qualcuno volesse provare a infischiarsene, continuando a confondere il teatro con lo stadio, la direzione sottolinea con legittima puntigliosità che eventuali avventori che arrivino in struttura sprovvisti di un abbigliamento adeguato non solo saranno rispediti a casa ma non avranno alcun diritto a rimborsi o indennizzi.

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Va precisato, comunque, che il nuovo dress code (in realtà mai ufficialmente caduto in disuso) ammetterà delle eccezioni che poi eccezioni non sono. Sarà, infatti, assolutamente consentito al pubblico femminile accedere indossando una blusa o un abito smanicato elegante (difficilmente confondibile con una canotta!). Come pure non saranno applicate restrizioni a spettatori di altre culture (ad esempio giapponesi) che si presentassero al botteghino indossando calzature tipiche (anche quelle difficili da confondere con delle italiche infradito da spiaggia). Al di là della notizia di colore, infatti, i soliti ben informati ci tengono a sottolineare come il cambio del codice d’abbigliamento (ma anche organizzativo e comunicativo) vada a coincidere con il cambio di guardia ormai sempre più prossimo in testa alla sovrintendenza del teatro.

Dal 1 settembre, infatti, entrerà in servizio il nuovo sovrintendente della Scala, quel Fortunato Ortombina nominato dal cda della Scala lo scorso mese di febbraio e fino a fine agosto in servizio alla Fenice di Venezia. Non può essere un caso- e crediamo onestamente non lo sia davvero - il fatto che ad allentare le maglie delle norme d’abbigliamento per gli spettatori sia stato proprio il sovrintendente uscente, Dominique Meyer che aveva apertamente invitato a una maggiore tolleranza sul vestiario del pubblico in nome di una maggior apertura ai giovani.

La scelta di Meyer si collocava in linea con quanto avviene da oltre vent’anni alla Royal Albert Hall di Londra, dove la direzione invita apertamente il pubblico a vestirsi «come si senta maggiormente a proprio agio». Anche se il sovrintendente uscente della Scala aveva in realtà addotto come motivazione della “liberalizzazione dei costumi” alcuni suoi personali ricordi di gioventù, quando lui raccontò di come veniva redarguito nei teatri per il suo look che era definito da operaio.

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C’è da dire, tuttavia, che il dibattito sulla linea di condotta e di abbigliamento nei grandi teatri è motivo di confronto tra scuole di pensiero diverse un po’ nelle sale di tutta Europa. Ad oggi, sembra stia tornando a prevalere quella dell’eleganza, gradita e consigliata da Parigi a Berlino. Oltre che - pensate un po’ - proprio alla Fenice di Venezia. La Scala, insomma, tornerà finalmente a salire il gradino necessario a ricordare che l’empireo dell’opera può essere per molti ma non proprio per tutti. Sicuramente non per i cafoni da spiaggia dei quali Milano d’ora in avanti tornerà a fare gioiosamente a meno.

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