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Beppe Sala-choc: dove vuole far tornare il Leoncavallo

di Emiliano Dal Toso venerdì 26 dicembre 2025

3' di lettura

C’è un filo rosso che lega le dichiarazioni natalizie del sindaco Giuseppe Sala: la sensazione che, mentre Milano è attraversata da problemi concreti e sempre più percepiti - sicurezza, baby gang, trasporto pubblico, carceri al collasso- , il primo cittadino sia preoccupato di tutt’altro. Del futuro del Leoncavallo, per cui il Comune ha già preparato un bando ad hoc (per l’area di via San Dionigi, sono 3 le manifestazioni di interesse arrivate, ndr) e ora intende far da intermediario con i Cabassi per favorirne un ritorno in via Watteau. E del futuro politico del centrosinistra e la costruzione della sua successione a Palazzo Marino. Non è un caso che, a margine del brindisi di Natale con la stampa, Sala abbia scelto di spendere parole tutt’altro che neutre sulla possibile candidatura di Anna Scavuzzo. Altro che semplice legittimazione istituzionale: il sindaco di fatto valorizza la sua vice, la indica come figura naturale per il dopo-Sala e ne accompagna pubblicamente l’ingresso nel dibattito politico. «Ha fatto il vicesindaco per undici anni», «ha preso una delega difficile come l’Urbanistica», «dire ‘ci sono’ significa dire ‘ci sono per le primarie’»: un riconoscimento politico esplicito, che va ben oltre la cortesia istituzionale.

Sala si spinge anche a delineare il perimetro del percorso: primarie non soltanto del Partito Democratico, ma di coalizione. E si dice pronto a «dare una mano» nel processo, salvo fare un passo indietro qualora la sua presenza dovesse «creare imbarazzo». Il confronto con il centrodestra viene invece liquidato con una battuta: «Nel centrosinistra qualcuno si fa avanti, nel centrodestra no». Una constatazione che fotografa lo stato delle cose dal punto di vista di Sala, ma che rischia di apparire distante dal clima che si respira fuori da Palazzo Marino, dove le preoccupazioni quotidiane dei cittadini restano ben presenti. Perché mentre il sindaco accompagna politicamente la sua vice – con buona pace di altri possibili aspiranti candidati come Pierfrancesco Majorino – torna con forza il tema della sicurezza. Da assessore ad interim (ruolo assunto “non per scelta”) il sindaco parla di una «scarsa efficacia del sistema penale e sanzionatorio», soprattutto per i reati predatori e di strada.

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Cita carceri sovraffollate, assenza di misure alternative, denunce a piede libero che spesso portano alla reiterazione dei reati. Osservazioni fondate, ma che vengono presentate come se Milano avesse un ruolo marginale nella gestione del problema. Il sindaco insiste molto sul tema del disagio giovanile, ma aggiunge anche un elemento che fa discutere: perché «molti autori dei reati non sono milanesi», dato che arrivano da Monza, da Bergamo, dall’hinterland. Milano finisce così per subire fenomeni che nascono altrove. Un’analisi che può essere letta come una constatazione oggettiva, ma che rischia di essere percepita come una parziale deresponsabilizzazione. Il passaggio successivo è quasi naturale: il bersaglio diventa il governo. Sala lamenta che «Milano non è esattamente nel cuore dell’esecutivo», denuncia il taglio di 15 milioni di euro sulla M4, accusa la manovra economica di penalizzare il trasporto pubblico e segnala che il fondo per gli straordinari della polizia locale durante le Olimpiadi non sarebbe accessibile al Comune.

Anche qui, il messaggio è lineare: senza un adeguato supporto da Roma, l’azione dell’amministrazione cittadina risulta limitata. Da una parte Sala afferma che «non bastano più divise per strada» e che la sicurezza non può essere ridotta alla sola repressione; dall’altra riconosce che il sistema attuale non riesce a punire, recuperare o trattenere chi delinque. Nel mezzo, però, resta difficile individuare una strategia comunale definita. Intanto Milano resta una città in cui la percezione dell’insicurezza cresce e dove lo stesso sindaco ammette che «così non va bene». Il paradosso sta proprio qui. Sala ribadisce di non voler fare polemica, ma costruisce una narrazione che tende a collocare le responsabilità sempre altrove: allo Stato, al governo, al sistema giudiziario. Lui, nel frattempo, guarda avanti, prepara il terreno per Scavuzzo e apre ufficialmente il cantiere delle primarie. E alla fine il sospetto è che il messaggio politico più forte di queste dichiarazioni natalizie non sia tanto la denuncia di ciò che non funziona, quanto il tentativo di fissare un’eredità politica. E appunto salvare il Leoncavallo. E consentirne un ritorno in via Watteau in funzione di un valore non ben percepito dalla città. Se valore si possono chiamare 20 anni di abusivismo, tasse non pagate e una tari non versata che ammonta a un milione di euro. Oltre ai festini vari del raccolto e alle serate a base di birra senza rilasciare uno scontrino.

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