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Indro Montanelli, il trucco sul testamento di Benito Mussolini: ciò che non sapevamo, così il giornalista ha fregato il regime

di Egidio Bandini sabato 14 agosto 2021

3' di lettura

 «Il 10 giugno del 1940, quando il balcone di Palazzo Venezia per l'ultima volta nella storia d'Italia si spalancò e io mi affacciai per annunziare al mondo l'ingresso del nostro Paese nel conflitto europeo, nessuno- dico nessuno- aveva più di me l'esatta percezione che il suddetto conflitto era ormai già virtualmente risolto in favore dell'Inghilterra, la quale aveva proprio in quei giorni riportato la grande vittoria di Dunkerque. Questo problema era stato dibattuto proprio il giorno innanzi a Villa Savoia fra il mio amato Sovrano Vittorio Emanuele III e me in un colloquio di cui, appena rientrato a Palazzo Venezia, avevo riepilogato sul mio taccuino i passaggi salienti: Maestà, l'Italia non è grande quando vince; l'Italia è grande quando perde!». Questo il passaggio, forse più dirompente del volumetto dal titolo Il buonuomo Mussolini, uscito nel 1947 per i tipi di Edizioni Riunite a Milano. Il contenuto? Messo così, perlomeno da premio Pulitzer: il testamento spirituale del Duce. Ma chi poteva, nell'immediato dopoguerra, dare alle stampe un testo in cui fa parlare Mussolini in prima persona rivelando elementi storici in grado di ribaltare gli avvenimenti del precedente ventennio? Indro Montanelli. E chi sennò?

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LE CARTE DEL SACERDOTE
A mettere in chiaro l'intento non esattamente storiografico del volume è, da subito, l'incipit della vicenda, ovvero la visita al grande Indro di un ignoto sacerdote che gli vuole consegnare un manoscritto: «Prenda e se lo legga con comodo. Io passerò o non ripasserò, non importa. Comunque, non la impegno a farne un uso invece di un altro. Lei può pubblicarlo, bruciarlo, rivenderlo. L'unica cosa che non potrà fare è restituirlo a me. Ora tocca a lei!"». Un artificio letterario per poter raccontare verità altrimenti difficili da esprimere in quel momento storico. Ne uscirono un centinaio di pagine nelle quali un Duce, prossimo al «Crepuscolo mattinale della resurrezione», descrive il rapporto affettuoso e complice con il Re, interessato più al "gossip" di palazzo che alle vicende politico-diplomatiche, le manovre per arrivare a perdere la guerra, pur facendo sembrare di volerla vincere, addirittura il "sabotaggio" dei comandi militari per indebolire l'esercito e l'aviazione, con il cruccio della marina, dotata comunque di ottimi comandanti, la fugacità delle "storie d'amore", fatta salva quella con Claretta, che riteneva più che altro utile ai propri fini e, non ultima, l'antipatia per Hitler: «Hitler è un primitivo, e dei primitivi ha la forza. Non sa nulla. È uno degli uomini più ignoranti dell'Europa d'oggigiorno. Le sue letture sono state talmente rade e poco assimilate che le ha risputate subito tutte e si possono contare sulla punta delle dita nei suoi due bruttissimi libri». La storia dei 5 anni di guerra, della caduta del fascismo (anche questa abilmente concordata proprio con Vittorio Emanuele III), dell'armistizio e dell'insistenza dei tedeschi a volerlo rimettere "in sella", mentre egli avrebbe voluto consegnarsi agli angloamericani, anche grazie all'amicizia con Winston Churchill, autore di una lettera al Duce addirittura affettuosa.

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TOTALITARISMI FUTURI
Il testamento letterario si conclude con un richiamo ai tanti totalitarismi che, comunque, avrebbero afflitto il mondo negli anni a venire e dei tanti, tantissimi epigoni duceschi che anche l'Italia avrebbe avuto, mentre del periodo del ventennio, pur con tutto ciò che accadde, Mussolini scrive: «Sono grato alla sorte per avermi concesso, di esserne stato io il protagonista». A chiarire la vicenda è la chiosa di Montanelli: «Tale, il curioso documento» scrive Indro. «Ora, i casi sono due: o esso rappresenta veramente il testamento di Mussolini, e allora è inutile che suggeriamo noi al lettore il giudizio da formulare. Oppure si tratta solo di un paradosso, che potrà piacere o non piacere al lettore, ma che sfugge a ogni valutazione politica e morale». Insomma un'altra delle favole montanelliane, talmente ben ideate, da sembrare quasi vere...

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