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Marco Damilano, "quanto lo pagano per fare propaganda al Pd": cifre svelate, terremoto in Rai

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Gianluca Veneziani
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E allora siate onesti, ribattezzate la Rai "Regime Antifascista Integralista". Sarebbe più corrispondente al vero e aiuterebbe a spiegare l'operazione di conquista che consente a giornalisti e intellettuali rossi di occupare tutti gli spazi di infotainment sul servizio pubblico. Siamo oltre l'egemonia culturale, qui parliamo di tirannia del monopensiero odi dittatura del conformismo, con strabismo a sinistra. L'ultimo e clamoroso caso è quello di Marco Damilano, l'ex direttore de L'Espresso arruolato per un format di approfondimento su RaiTre a partire dal prossimo settembre per il quale, stando ad alcune indiscrezioni riportate ieri da Il Fatto quotidiano, percepirebbe 50mila euro mensili, in pratica 2.000 euro a puntata. Considerando che si tratta di una striscia di soli dieci minuti in fascia prime time (la stessa un tempo gestita da un certo Enzo Biagi), parliamo di 200 euro al minuto, più di 3 euro al secondo.

 

 

Non esattamente una retribuzione da fame. Che ha suscitato non pochi malumori all'interno del mondo Rai. «In un momento in cui l'ad Carlo Fuortes chiede sacrifici agli interni», ha commentato l'esecutivo dell'Usigrai, il sindacato del servizio pubblico, «ci sembra paradossale che all'improvviso ci siano i soldi per pagare l'ex direttore de L'Espresso, che è un giornalista esterno, quindi con un aggravio di costi per l'azienda». Ma, oltre alla questione dei soldi, del sorpasso sui giornalisti Rai che magari avrebbero potuto condurre quella striscia di approfondimento altrettanto degnamente, e della concorrenza interna (il programma di Damilano andrà in onda in contemporanea al Tg2, con il rischio di rubargli ascolti) - questioni sulle quali la senatrice di Fdi Santanché ha chiesto un chiarimento urgente all'ad Rai Fuortes - il tema da porre a nostro avviso, non nuovo, non sorprendente ma comunque enorme, è di natura politico-ideologica.

COLONIZZAZIONE ROSSA
E cioè: è possibile che, per l'ennesima volta, uno spazio di analisi e commento sull'attualità - così come capita ai programmi di inchiesta e intrattenimento- sia affidato a un giornalista di dichiarate simpatie di sinistra? C'è proprio bisogno di un ennesimo intellò in grado di orientare in una sola direzione l'opinione pubblica, all'interno di un organo di informazione di Stato che invece dovrebbe (toh, che illusi) prevedere come dogma il pluralismo? Viene quasi da rimpiangere il periodo della lottizzazione, quando almeno i canali delle reti Rai erano distribuiti col bilancino o manuale Cencelli, che dir si voglia, tra i principali partiti. Ora invece siamo al monocolore, o al più al bicolor giallorosso.

 

 

Basti pensare, in ordine sparso, alla presenza alla guida di Report di Sigfrido Ranucci, vicino ai 5 Stelle, sopravvissuto nonostante la bufera degli sms intimidatori e dei video a dir poco discutibili legati ai suoi metodi di inchiesta. E a fronte di risultati non esaltanti: da quando è tornato in onda, il suo programma ha subito via via un tracollo di ascolti, passando dal 9,5% di share del 4 aprile al 6,3% di lunedì scorso. E ancora, vengono in mente Fabio Fazio, uomo non esattamente di centrodestra, irremovibile dal suo Che tempo che fa su RaiTre, Serena Bortone vicina al Pd, padrona dell'evasione post-prandiale su RaiUno con È sempre mezzogiorno, Bianca Berlinguer, al timone di Cartabianca (pur con le insofferenze del direttore di rete, altrettanto de la gauche, Franco Di Mare), Massimo Gramellini in onda il sabato con Le parole, e ancora Luisella Costamagna, in orbita 5 Stelle, altra esterna, alla guida di Agorà, il "compagno" Maurizio Mannoni, eterno conduttore di Linea Notte, Riccardo Iacona, volto di Presadiretta.

Potremmo continuare, ma preferiamo fermarci. Fatto sta che, sulle reti Rai, in termini di conduzioni di talk show o di spazi di approfondimento, a giornalisti e commentatori di destra restano le briciole. Paghiamo noi, ma comandano loro, quelli di sinistra. E allora, di fronte a questo andazzo, viene forte la voglia di dire basta, di cambiare canale o di spegnere la tv. Che se la cantino e se la suonino loro, ma in modo più trasparente, ammettendo che la Rai è diventata ormai organo ufficiale del Pd e degli alleati di circostanza. Noi ne trarremo le conseguenze.

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