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Commissari, giudici, medici radiati. Tutti i figli legittimi di Scerbanenco

Nevrotici, strampalati, generosi: da Schiavone e Monterossi, sono tutti gli epigoni del Duca Lamberti dello scrittore ucraino-milanese, sparsi per la penisola . Dove è nato il giallo e , da De Marchi in poi, è stato allevato...
di Francesco Specchia lunedì 16 maggio 2022

Giorgio Scerbanenco

4' di lettura

Trattasi, in fondo d’una sarabanda di eroi dolenti.

C’è il detective dal nome biblico che possiede il “senso della frase”, in omaggio al suo indimenticato autore, l’Andrea G.Pinketts che  odorava di brandy e polvere da sparo. C’è la fioraia detective che semina tempesta sul lago di Como. C’è la bella marescialla dei carabinieri, appassionata di caffè alla scorza di zenzero. C’è il noto scrittore per ragazzi, che indaga sull’annegamento di un vecchio ripescato assieme a un burattino di legno. C’è, infine, il commissario di “nobili natali”, dal fascismo rarefatto e dall’aria contrita, nella Napoli del secolo scorso; uno, per capirci, che parla con gli spettri dei morti ammazzati mentre, qui, scrive una lettera accorata ai suoi lettori: «Siamo abituati a incontrarci in tutt’altra maniera: la modalità tipica tra noi è per me comparirvi al fianco, le mani affondate nelle tasche del mio soprabito così fuori moda nel vostro tempo, e cominciare a sussurrarvi le mie storie, così, senza nemmeno un preambolo o un saluto...». Sono costoro, nell’ordine: Lazzaro Santandrea reinterpretato da Sandrone Dazieri; Libera Ciarati, la “Miss Marple del Giambellino” di Rosa Teruzzi  Nina Mastrantonio di Daniela Grandi ;  il Carlo Collodi di Leonardo Gori; il commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni. Ovvero, soltanto alcuni dei protagonisti di Indaga, detective -12 indagini degli investigatori più amati dei lettori (Piemme, pp308, euro 16, 90, proventi versati alla Croce Rossa), il prezioso tomo che, per certi versi, fotografa una mappatura degli investigatori italiani. Il libro, in copertina gialla nel paese in cui il “giallo” fu di fatto inventato,  riaggiorna i nostri detective creando innesti in un albero genealogico antico. Roba che risale alla Napoli del secolo scorso dove si svolgono i due libri che lottano per il titolo di «primo giallo italiano»: Il cappello del prete di Emilio De Marchi, 1888, dove però non spicca alcun investigatore degno di questo nome, e Il mio cadavere di Francesco Mastriani, pubblicato a puntate sul giornale Roma nel 1852  ambientato nel 1826. Non sono affatto, i nostri detective, figli di Maigret; semmai è Maigret ad essere figlio loro. E questo catalogo di delittazzi più o meno efferati, oltre a ristabilire parentele e patronimici del crimine, riaccende l’interesse per i nostri indagatori.

 Non è un caso, infatti, l’inaspettato successo di Venere privata  e Traditori di tutti, le riedizioni targate La Nave di Teseo (che ne pubblicò anche il bell’inedito L’isola degli idealisti, oltre ai racconti del Centodelitti) dei casi più celebri di Duca Lamberti, medico radiato dall’albo per avere praticato  l’eutanasia a una paziente. L’operazione di recupero letterario è assai meritoria. Dietro lo sguardo livido e fuori sincrono rispetto al boom economico degli anni 60 di Lamberti si  coagula tutta la versatilità del giallo all’italiana. Una narrazione  punteggiata dai lampi nel buio dell’hard boiled di Chandler; immersa nella periferia milanese; e accompagnata dal ticchettio alla macchina per scrivere dell’autore Giorgio Scerbanenco da Kiev, genio dalla fantasia prensile e dal naso adunco passato attraverso mille mestieri compreso quello di scrittore della Posta del cuore di riviste femminili, sotto pseudonimo femminile su ordine del curatore Cesare Zavattini. 

Scerbanenco era il lume, le sua tetralogia col Duca strappa la letteratura poliziesca dal buio della critica. Ma, dopo di lui, l’Italia dei detective s’è quantitativamente e qualitativamente arricchita, su base territoriale. A Milano, indaga Carlo Monterossi autore di trash tv di Alessandro Robecchi che in tv, su Amazon Prime, indossa lo sguardo a tapparella socchiusa di Fabrizio Bentivoglio. E il Gorilla di Dazieri, e il Commissario Ambrosio di >Renato Olivieri. A Roma opera il vicequestore Rocco Schiavone di Antonio Manzini: un Sam Spade all’amatriciana che porta nel cuore l’immagine della moglie uccisa in un agguato destinato a lui; e che viene trasferito in Val d’Aosta per aver saccagnato di botte uno stupratore seriale figlio di un politico. 

A Bologna gli ispettori Coliandro e Grazia Negri di Carlo Lucarelli si sono oramai sostituiti al sergente Sarti Antonio di Loriano Machiavelli. A Padova c’è sempre l’Alligatore –sette anni in galera da innocente grazie a giudici corrotti- di Massimo Carlotto. Nella Bari odierna indaga il maresciallo Pietro Fenoglio, colto e malinconico torinese trapiantato al sud; e da quei luoghi nasce l’ispirazione per le avventure dell’ex pm (come l’autore di entrambi Gianrico Carofiglio) Penelope Spada protagonista de La disciplina di Penelope  prima “fiction sonora” di Rai Play Sound. Gli investigatori italiani sono un’espressione geografica: intrecciano mafia e crimini ecologici, segreti di Stato e storie di corna, stragi e politica. Ne esce un Atlante di storie che, nonostante i nostri complessi d’inferiorità, resta tra i più invidiati al mondo…

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