Come stanno le cose

Sergio Mattarella, una scomoda verità: il suo zampino dietro le urne deserte

Iuri Maria Prado

Spiace dirlo, ma c'è anche la firma del presidente della Repubblica tra quelle che hanno sottoscritto il fallimento referendario. Si potrà dire che era tecnicamente corretto quanto Sergio Mattarella- secondo ciò che gli hanno attribuito fonti di stampa non smentite - riteneva di far trapelare, e cioè che il voto referendario costituisce un diritto ma non un dovere. Ma nelle condizioni in cui ci si è ridotti a (non) votare questa volta, il richiamo a quel principio in sé indiscutibile appariva a dir poco fuorviante. Perché se pure si fosse trattato di un puro diritto, e non di un dovere, era plateale che ai cittadini è stato sostanzialmente precluso di esercitarlo, visto che buona parte di loro nemmeno sapeva dell'appuntamento referendario. E non per autonomo disinteresse, ma per la sistematica opera di disinformazione e censura attuata persino dal sistema dell'informazione pubblica.

 

 

Un diritto molto teorico, dunque. Per non dire del fatto che l'estromissione del voto referendario dal paniere dei doveri è almeno singolare nel Paese in cui si è tanto indugiato su obblighi civili e morali forse anche più improbabili, come quello di sottoporsi a una vaccinazione. E per non citare gli accorati appelli presidenziali a sollecitazione di una riforma della giustizia resa tanto più urgente dagli scandali a grappolo in ambito giudiziario. Ma evidentemente era meglio per tutti, dall'ultima procura fino al culmine del Consiglio superiore della magistratura (Csm), che non fossero i cittadini a esprimersi.