Massimo rosicamento

Massimo Giannini silurato sbrocca: "Non vado ai giardinetti"

Brunella Bolloli

Il sottopancia ora dice: “Editorialista di Repubblica” e dopo circa mezz’ora di discussione sulla giudice Iolanda Apostolico, il video di Catania, le richieste della Lega di Salvini e sul fatto se i magistrati sono cittadini come tutti gli altri oppure no, Massimo Giannini, per tre anni e cinque mesi direttore della Stampa di Torino appena sostituito dal suo vice, non può sottrarsi alla domanda diretta della padrona di casa di Otto e mezzo. «Massimo Giannini, è vero come scrivono i giornali di destra che sei stato silurato?», scandisce Lilli Gruber. Lui è già rosso in faccia, per tutta la puntata ha battibeccato con Alessandro Sallusti sui temi della giustizia, ma è adesso che viene il bello, dulcis in fundo, anche se i toni sono sprezzanti e non certo dolci nei confronti di chi ha scritto la verità e cioè che l’editore, il Gruppo Gedi (Elkann), ha deciso la sostituzione del direttore a causa del calo delle vendite del quotidiano torinese.

«Non è snobismo il mio, ma confesso che non ho letto il penoso articolo dei volonterosi carnefici di Giorgia Meloni», è la risposta piccata dell’ex numero uno, il quale parla di una «riflessione prolungata avviata da giugno con l’editore sulla natura del giornale e su come lo si potesse rafforzare».

 


A nessuno fa piacere avere il benservito dall’azienda, figurarsi a Giannini che sognava di fare il salto e tornare in grande stile a Roma a guidare la Repubblica, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari da cui proviene, nel quale si è formato e ha fatto carriera. Oddio, in verità, Giannini si è sempre scordato di dire che il suo ingresso nel mondo dell’informazione è avvenuto grazie all’allora direttore di Economia e Tributi, il settimanale del Sole 24 Ore al quale approdò giovanissimo, era il 1986, e dove ottenne il praticantato che, perla generosità di quel direttore, gli fu perfino retrodatato in modo che potesse poi arrivare, due anni dopo, al quotidiano di piazza Indipendenza, da redattore. Storia vecchia, si dirà. Ma qualcuno se la ricorda ancora, specie quando Massimo sbandiera i suoi inizi al quotidiano di Scalfari. Ora tornerà lì, «a casa sua», da editorialista e con un ruolo nella realizzazione di podcast, ma senza più avere lo scettro del comando che pare saldo nelle mani di Maurizio Molinari con il quale, fra l’altro, i rapporti non sono idilliaci.

«Non vado certo ai giardinetti», ha sbottato ieri sera Giannini su La7 incalzato dalla conduttrice e dal direttore del Giornale, Sallusti. Il quale, provocatoriamente, ha osato fargli notare che di recente La Stampa si era presa le smentite perfino dal Quirinale per certi titoli che sembravano usciti da un libro fantasy e non certo da un serio lavoro di giornalismo d’inchiesta. Trovate come “l’irritazione del Colle sui tagli alla sanità” e poi “lo spettro del governo tecnico per rovesciare la Meloni” o la stessa premier definita Macbeth, o le pagine infarcite di ideologia woke e di articoloni antigovernativi non hanno portato molto bene alla gestione Giannini, visto il calo di copie specie in Piemonte e in tutto il nord, dove il quotidiano di casa Agnelli, di antica tradizione liberale, ha sempre dettato la linea, è sempre stato considerato un’istituzione, con i suoi dorsi locali, gli approfondimenti sugli esteri, gli inserti della domenica e invece negli ultimi tempi si era trasformato in un foglio troppo estremo, all’inseguimento della sinistra radical chic e lontano dalle sue radici.

 

 

Non è certo tutta colpa di Giannini, ma se l’editore ha preferito il “tecnico” e meno mediatico Andrea Malaguti al posto del direttore politico con il vizietto di attaccare “le destre”, un motivo ci sarà. Lui comunque non ha perso l’occasione, anche in tv, per parlare di «clima tossico», per affermare che se il suo addio fosse stato caldeggiato da Palazzo Chigi «allora domattina dovremmo scendere tutti in piazza a manifestare» e alla fine ha incassato la smentita del Colle che, per bocca di Giovanni Grasso, consigliere per la stampa del presidente Mattarella, ha definito «assolutamente farneticanti le illazioni, diffuse da Alessandro Sallusti a Otto e Mezzo». Banalmente, Giannini ha fatto tutto da solo. E ora torna a Roma a fare l’editorialista a Repubblica dove è stata promossa a vice di Molinari Conchita Sannino, autrice dello scoop sul Casoriagate, cioè sulle vicende di Silvio Berlusconi e Noemi Letizia.