CATEGORIE

Vittorio Feltri e i 25 anni di Libero: "Questo giornale ha un segreto"

I 25 anni di "Libero". Da Oriana a Berlusconi fino al "botto" in edicola. Il fondatore racconta com'è iniziato tutto: "È nato un quotidiano diverso dagli altri, con i toni del diario di uno studente". L'intervista di Mario Sechi
di Mario Sechi martedì 20 maggio 2025

9' di lettura

Vittorio Feltri, classe 1943, giornalista. Si dichiara colpevole o innocente?
«Colpevole».

Ecco, di che cosa?
«Di non aver sempre fatto quello che avrei dovuto fare».

Per esempio?
«Difficile fare esempi, per uno che fa questo mestiere da 50 anni, però qualche errore l’ho fatto».

Non innocente, colpevole. Anche io mi dichiaro colpevole, così siamo insieme.
«Eh, qualche pu***nata l’abbiam fatta».

Venticinque anni di Libero sono un appuntamento importante. E alla fine il soggetto sei tu, Vittorio Feltri, il direttore che lascia un’impronta indelebile sui suoi giornali. Perché?
«Non lo so, sinceramente non era mia intenzione lasciare un’impronta. Io cerco di fare i giornali applicando un principio: orecchio in basso e non in alto, mi piace ascoltare quello che dice la gente e mi interessa meno il Palazzo».

Esiste il feltrismo?
«Non so cosa si intenda, ogni tanto me lo dicono. Io sono un giornalista normale...».

Be’ normale...
«Faccio il lavoro che fanno anche gli altri, poi qualche volta mi viene meglio».

Pensavi di arrivare dove sei arrivato?
«Quando ho cominciato no di certo. Non riuscivo neppure a cominciare, sai quando hai 20 anni, facevo fatica».

Scrivevi recensioni sui film?
«Sì, sul quotidiano della mia città, l’Eco di Bergamo, il giornale dei preti...».

C’era già Don Spada direttore?
«Sì, c’era Don Spada, che era amico del mio precettore che mi ha aiutato a fare la maturità e mi parlava o in bergamasco o in latino».

Capisco, a casa mia si parlava sardo, l’italiano si usava solo per le comunicazioni ufficiali.
«Il prete mi parlava in latino e ho imparato il latino».

E ci hai pure scritto un libro, sul latino.
«Memore di questo vecchio prete, che mi raccomandò all’Eco di Bergamo dove cominciai a scrivere recensioni cinematografiche».

Ti piaceva?
«No».

Che sensazione provi di fronte ai 25 anni di Libero? A me viene un «chi l’avrebbe mai detto». A te?
«In effetti sono tanti, ti dirò che sono contento che sia riuscito a vivere così a lungo, non me lo immaginavo, non mi illudevo».

Qual è il segreto di questa longevità?
«Secondo me è il fatto che Libero è un giornale diverso, è un po’ scanzonato, ha un linguaggio sciolto, ironico, e anche adesso questa impronta gli è rimasta e io lo leggo volentieri».

Ti ringrazio per questo tuo giudizio, perché Libero è un giornale difficile da fare, perché devi trovare la giusta misura e rispettare la sua identità. Se dovessi usare un’immagine, che cosa è Libero?
«È il diario di uno studente».

Bella questa. Il diario di uno studente che ha ancora delle ingenuità...
«...e si stupisce, si incazza, il tono è quello».

Io ho cominciato questo mestiere grazie a te, quasi 35 anni fa, a L’Indipendente. Eravamo al cesso...
«... luogo interessante».

Be’, d’altronde il cesso faceva parte della poetica di Joyce. Insomma, in quel posto, mentre io mi lavavo le mani e tu ti aggiustavi la cravatta, arrivò la frase magica per uno che cercava il suo inizio: «Se non chiude la baracca, ti assumo». La baracca non chiuse e fu una straordinaria avventura. Quando hai fondato Libero ti sei ispirato a L’Indipendente?
«No. Perché quell’avventura si appoggiava sulle vicende politiche del momento, Mani Pulite. Con Libero quella stagione era finita. Bisognava trovare altro».

E quale fu allora la chiave di Libero?
«Bisognava fare un giornale berlusconiano, ma senza che Berlusconi ne fosse il proprietario».

E fece scalpore.
«La botta di successo l’abbiamo avuta quando Paolo Mieli sul Corriere della Sera si schierò con la sinistra. Il giorno dopo abbiamo venduto 50 mila copie e non le abbiamo più perse».

Tu pensavi sempre di fondare il tuo giornale?
«Sì. Quando presi la direzione del Giornale- e Montanelli fondò la Voce - già dopo pochi mesi vendevamo 180mila copie, lo lasciai che vendeva 260 mila copie».

E questo ti convinse che c’era lo spazio per fondare un tuo giornale.
«Ci speravo, sai, non ci sono certezze».

Nell’editoria come nell’amore. Cosa ti manca in questa tua ineguagliabile carriera?
«Di morire».

Dai, per questo c’è tempo.
«Eh, ma questo mi manca».

Rimpianti?
«No, tutto quello che potevo fare l’ho fatto e, certo, ho commesso anche degli errori».

Sconfitte?
«Sai, quando hai il giornale che va bene, le sconfitte... puoi solo incazzarti la mattina perché trovi un titolo sbagliato».

I giornali li leggi ancora tutti i giorni?
«Sì».

E ti incazzi?
«Abbastanza. Oggi è difficile pubblicare i giornali, per un motivo semplicissimo: è passata l’idea che l’informazione è gratuita e non vedi più per strada quei signori con il quotidiano infilato nella tasca della giacca e le edicole sono quasi tutte chiuse».

Vado dritto: il giornalismo è morto o è un problema di modello di business?
«Il modello. Le aziende editoriali vendono poche copie, incassano pochi soldi e non possono investire, assumere giornalisti di un certo tipo, non possono fare un prodotto all’altezza. Questa è la fregatura. Succede un fatto di cronaca nera, un tempo pigliavi un inviato e lo mandavi a raccontarlo, sul posto, finché non aveva fatto tabula rasa. Adesso nessuno manda più gli inviati, perché non ci sono i soldi».

Tu hai vissuto in redazione la prima, la seconda e la terza Repubblica. Differenze sul come fare i giornali?
«Il periodo in cui mi sono divertito di più è stato a L’Indipendente, perché crollava tutto. Poi anche al Giornale. Sai, quando hai buoni risultati sei contento, questa è la verità. L’esperienza più atroce che ho avuto è stata all’Europeo, dove mi hanno fatto uno sciopero di due mesi».

Erano tutti comunisti.
«Tutti comunisti».

Era un settimanale bellissimo. Sai che Borges diceva che servono i migliori giornalisti di destra per fare un giornale di sinistra, e i migliori giornalisti di sinistra per fare un giornale di destra. Condividi?
Ride. «Sono d’accordo».

Vittorio, ma non è che noi siamo comunisti?
Feltri assume lo sguardo di quello che pensa che io sia un idiota. «No, perché è una moda e a me le mode mi stanno sui co***oni».

E allora cosa siamo? Una volta dicevi che eri un liberale anarchico.
«Sì, è un po’ così».

E allora cosa vedi nel futuro?
«Per i quotidiani una brutta fine, ma anche per il giornalismo televisivo. Basta dire che con il nuovo Papa, hanno fatto sei, sette giorni di Papa tutto il giorno».

Un po’ troppo...
«Due co***oni così... perché non sanno cosa fare».

Ho fatto una selezione di prime pagine della raccolta di Libero, il primo numero era sul caso Ariosto-Berlusconi, ricordi?
«Eh, madonna...».

Eri emozionato quando uscì il primo numero di Libero?
«No. Ero abbastanza abituato».

E poi c’è questa prima pagina, eccola, la tua “lettera a Oriana” Fallaci quando se ne andò.
«Oriana è stata un mito, quando l’ho conosciuta era già Oriana. Scattò una simpatia reciproca, per cui ci vedevamo sempre. Un giorno, rientrò dall’America e ci vedemmo in un ristorante in via Senato. Io arrivai in ritardo, lei aveva un borsone e tirò fuori una pelliccia di visone per me. In America gli uomini la indossavano, ovviamente io non l’ho mai messa».

Vi mandavate anche a quel paese?
«Capitava».

Quando dopo l’11 settembre 2001 lanciò il suo grido in difesa dell’Occidente, quale fu il tuo pensiero?
«Che la pensavo esattamente come lei».

Ne avevate già parlato?
«Sì, tutti i sabati mi telefonava e non mi mollava più».

Vedeva in te un riflesso del suo spirito giornalistico?
«Non lo so, le ero simpatico».

Com’era il tuo rapporto con Silvio Berlusconi?
«Ottimo. Anche dopo aver lasciato il Giornale. Era un signore e mi ha trattato sempre bene e non solo per la questione economica, che era impressionante, tanti soldi».

Fu un perseguitato?
«Lo volevano morto, capivano che era in sintonia con la gente e in grado di guastare i sistemi politici vigenti».

Stare dalla sua parte per te cosa significava?
«Significava avere un editore che mi somigliava. Ho avuto fortuna».

Che non è facile. E i rapporti con la famiglia Angelucci?
«Con loro mi sono trovato benissimo, quando morì l’editore con cui avevo fondato Libero, ero rimasto da solo, pagai io le tredicesime dei giornalisti, poi arrivarono loro in aiuto e non ho mai avuto discussioni».

Dritto e Rovescio, Vittorio Feltri: "Come reagire ai dazi"

"Niente allarmismi", ha detto Giorgia Meloni. "No panic", direbbero gli anglosassoni. E Vittorio Fel...

Passaggio da Berlusconi a Meloni, differenze?
«Con Berlusconi avevo un ottimo rapporto, mentre con la Giorgia sono amico. Un’amicizia nata ben prima che lei diventasse una leader».

Cosa vedi in lei?
«In lei vedo una grande bravura nel gestire gli uomini e nel gestire la politica. Mi spiace solo che non stia più col marito, io sono amico di Giambruno».

Io l’ho incoronata “uomo dell’anno” su Libero. Ti era piaciuta quella prima pagina?
«Sì, divertente, quelle cose fanno bene al giornale».

Perché i giornali sono quasi tutti a sinistra?
«È una moda».

Eh, ma dura da tanto...
«Le mode sono facili da iniziare, e quasi impossibile farle finire. Guarda il politicamente corretto, è una moda».

Una prigione.
«Sì, ma è una moda. Così è la sinistra, senza costrutto, senza neppure motivazioni ideologiche».

Cosa ti diverte fare in questo momento?
«Accarezzare il mio gatto».

Lo faccio anche io quando rientro a casa, mi calma, i gatti sono creature sacre. Ma sulla testata di Libero c’è un cavallo alato e non un gatto.
«A quel tempo avevo dei cavalli, l’ultimo mi è morto due settimane fa. I gatti mi danno un senso di serenità».

E i giornalisti?
«Ci sono quelli che mi stanno sui co***oni, e quelli che apprezzo. Ma ne apprezzo tanti».

Ti manca qualcuno?
«Quello che preferivo più di tutti era Salvatore Scarpino, perché aveva una scrittura poderosa».

Come si diventa Feltri? Sai che per tanti sei un modello?
«No guarda, sinceramente, io mi sento un monello».

Allora bisogna esercitarsi nelle monellerie.
«Il mio segreto, se è un segreto, è che io l’orecchio lo tengo basso e non in alto».

La scrittura di Montanelli era una frusta. Io lo rivedo in te, anche quando ti incazzi. Andavate d’accordo?
«Lo stimavo moltissimo. Andavamo a pranzo insieme, la cosa che mi colpiva, quando eravamo a tavola, era che teneva il fiasco del vino sotto il tavolo, come i vecchi contadini».

Come ti immagini i prossimi 25 anni di Libero?
«Guarda, faccio fatica a pensare ai prossimi 5 anni, non per colpa di Libero, ma per un fatto anagrafico, io ho 82 anni, e mi dicono che non sono eterno, quindi non potrò assistere al cinquantesimo».

Vittorio, tu ci accompagnerai sempre.
«Speriamo. Io mi diverto ancora a fare 'sto ca**o di mestiere».

Pure io, questa è la cosa incredibile, è da matti.
«Poi soprattutto mi piace scrivere. Quando ho fatto l’inviato al Corriere della Sera è stato il momento più bello della mia vita, ho girato il mondo».

Non hai mai pensato di scrivere un romanzo sulla tua vita?
«No, ho scritto vari libri, ma un romanzo no».

Più di trent’anni fa, mentre eravamo in macchina insieme, mi parlasti di Ennio Flaiano, della bellezza del suo libro Tempo di uccidere.
«Il suo primo libro. Vinse lo Strega con quel romanzo. Flaiano era molto bravo, spiritoso».

Ti sei ispirato a Flaiano nella scrittura?
«Sì, ho tentato».

Giovanni Papini?
«Meno».

Un altro scrittore che ti ha ispirato?
«Stendhal».

Voliamo altissimo. Giorgio Bocca?
«Un grande giornalista».

Ci litigavi?
«Sì, diceva che aveva paura di me, paura fisica, temeva che lo menassi».

Ti piaceva anche Giampaolo Pansa?
«Sì da morire. È stato un maestro».

A Libero ci sono tanti giornalisti giovani, di talento. Io sono nato con te, ho fatto il direttore tante volte, ogni tanto mi sento anche io un po’ consumato...
«Ti capisco».

Il mestiere del direttore com’è?
«Meglio che fare il praticante».

Questo è sicuro.
«Per fare il direttore devi alzare lo sguardo, guardare un po’ più lontano. E decidere. Bisogna avere un’indole».

Eppure tutti vogliono fare il direttore.
«Tutti vorrebbero, ma sono pochi quelli capaci di farlo. Io ne ho diretti otto».

Io quattro.
«Non male, sei avviato bene».

Vediamo come vanno le cose. Nella redazione di Libero ci sono dei quarantenni di grande talento, uomini e donne. Come li hai scelti?
«Gli fai scrivere un pezzullo e capisci subito. Ho notato che le donne sono più brave degli uomini, sanno scrivere meglio».

Quando ti svegli la mattina qual è la prima cosa che fai?
«La doccia».

E giornali?
«Arrivano alle otto, ne leggo pochi».

Tu hai sempre avuto un grande fiuto per la cronaca. Nel caso del delitto di Garlasco ci hai preso in pieno, qualcosa nell’inchiesta non tornava.
«C’è un’altra inchiesta, quella di Bossetti, il caso di Yara Gambirasio. Su Garlasco non vedevo la prova».

Quanto è stato importante per la tua formazione seguire il caso di Enzo Tortora?
«È stato decisivo, ci vuole molta attenzione e sensibilità, i giudici che non hanno sensibilità secondo me non funzionano bene».

Cosa auguri a Vittorio Feltri?
«Di non andare più in ospedale».

E allora bisogna lavorare, scrivere.
«Il lavoro non mi dispiace, mi piace scrivere».

Tornerai a Libero un giorno?
«Se me lo chiedessero, tornerei, sicuro». 

Vittorio Feltri, l'affondo: "La sinistra domina l'editoria"

"Devo confidarvi una sensazione che ho da molto tempo e che mi tengo un po' per me per evitare polemiche inutil...

Occhio al caffè Capezzone, "la parola che Putin ha pronunciato per la prima volta"

Le president Emmanuel Macron attacca Libero: quello che non spiega sui cardinali

Il confronto Vittorio Feltri glielo dice in faccia: "Renzi, che stupidata"

tag

Ti potrebbero interessare

Capezzone, "la parola che Putin ha pronunciato per la prima volta"

Emmanuel Macron attacca Libero: quello che non spiega sui cardinali

Mario Sechi

Vittorio Feltri glielo dice in faccia: "Renzi, che stupidata"

Dritto e Rovescio, Vittorio Feltri: "Come reagire ai dazi"

L'aria che tira, la sparata di Formigli: "Stanotte è ricomparsa la Meloni"

Il nervosismo della sinistra è ben rappresentato dalla quantità di insulti che rivolgono ogni giorno a Gio...

Otto e Mezzo, Marco Travaglio spiazza tutti: "Meloni ha fatto una cosa giusta"

"Nuovo giro telefonate di Zelensky, anche con Giorgia Meloni. In concreto Trump cosa ha ottenuto dopo la telefonata...

Garlasco, Angela Taccia: chi è l'avvocata di Andrea Sempio

Occhi nuovamente puntati sul delitto di Garlasco. Con il nuovo filone di indagini che coinvolge Andrea Sempio, amico del...

Gassman censura il teatro di Gallarate intitolato al padre

L’ordine è imperativo, come se lo pronunciasse dal balcone di piazza Venezia: «Togliete il nome di mi...
Francesco Storace