«L’errore di questa signora è stato non chiamarli col loro vero nome, sionisti. Io capisco il sentimento di questa donna, la sua indignazione, dopodiché ci sono anche degli israeliani che sono contro. Non puoi dire vietato agli israeliani, io avrei messo un bel cartello vietato ai sionisti». Testo e musica dell’attivista e scrittore Moni Ovadia, a margine della manifestazione contro il riarmo in piazza San Babila a Milano, commentando la notizia della merceria del centro del capoluogo lombardo che aveva esposto fuori dal suo negozio il cartello di divieto di ingresso ai cittadini israeliani.
A denunciare la vicenda sui social era stato Roberto Della Rocca, membro della Camera di commercio israelo-italiana. «Io sono israeliano, io sono sionista (movimento di autodeterminazione di un popolo oppresso, discriminato, odiato, deportato, sterminato. Movimento che si rifà, tra l'altro, a quello risorgimentale italiano), quindi non posso entrare? Perchè? Cosa ho fatto? Faccio parte di questo governo? No. Ho ucciso bambini? No. Abito in una colonia? No. E allora?», aveva detto.
Ne era nato un polverone mediatico. In prima linea il consigliere comunale milanese di Azione, Daniele Nahum: «Lo dico da tempo: questo clima di tensione, che ha ormai sdoganato l’utilizzo di termini che fomentano l’odio antiebraico, porta poi ad appendere in un negozio di Milano un cartello con scritto che gli israeliani sionisti non sono i benvenuti. A prescindere dalle valutazioni che ognuno di noi può dare sul conflitto mediorientale, si sta facendo passare il concetto che slogan, insulti e aggressioni fisiche contro gli ebrei siano ammissibili». I titolari del negozio si erano poi difesi così: «Dispiace per chi si è offeso, ma è stata data un’interpretazione sbagliata di quello che intendevamo. La lingua ebraica è stata scelta perché arriva direttamente agli interessati, che sono quelli che stanno massacrando tanti civili». Quando la toppa è peggio del buco... E ora ecco l’intemerata di Moni Ovadia...