A vent’anni dalla sua scomparsa consideriamo un atto di gratitudine ricordare un monumento della poesia italiana come il fiorentino Mario Luzi (1914-2005), il quale si è reso custode di una lingua ricca di sorprese ed eventualità; raffigurando da un lato la poesia nel suo divenire e dall’altro prefigurando “quella” parola che giunge dal silenzio per poi farvi ritorno. La sua lingua è la parte visibile e acustica del silenzio, senza la presunzione di presidiarne l’immutabilità. Non vanta la pretesa dell’indelebilità e della verità alternativa alla menzogna. Rappresenta la risalita dal fondo per trovare «la voce giusta per enunciarsi».
Nei suoi versi e soprattutto nel teatro e nei dialoghi intrisi di un silenzio quasi angosciante, vi è l’evidenza di un’oscillazione continua tra presenza e assenza, tra il silenzio e “quella” parola che ne valica le ragioni per rigenerarsi e continuare a esistere come espressione poetica del mondo.
AUTODISCIPLINA
Non si tratta dell’infrazione di una regola o il ricorso all’eresia normativa dal momento che la funzione della poesia si basa su un suo rigido autodisciplinare teso a dilatare il proprio orizzonte. Quando Luzi ama definirsi poeta cristico e non cristiano, intende riferirsi al Cristo che produce e procede in avanti e non a quello che impugna le cose per difenderle come certa chiesa prigioniera di una sua secolare inerzia. Luzi è vittima dell’attrito fra due angosce e due tormenti irrevocabili. In questa disputa e sfida tra infinito e finito, c’è il divenire e la metamorfosi della parola, che scavalca i nostri miseri confini terrestri per aspirare a traguardare la fede senza dimenticare il dubbio. Quest’uomo dalla mite grandezza e apparente docilità, sin dal suo esordio poetico nel 1935 con il libro La barca, recensito per primo da uno sconosciuto Giorgio Caproni, pone già alcune fondamenta della sua poesia. Oltre a ringraziare l’autore per aver dato voce al sentimento della patria, Caproni coglie la musicalità piana e suadente, il senso religioso e l’ariosa presenza della giovinette fiorentine a cui consiglia di volare. Ma non trascura di sottolineare l’eccessivo intellettualismo cristiano e un reiterato gioco di rime interne. Anni dopo Luzi dissentirà dall’amico livornese, convinto della separazione tra creatore e creatura.
COSMOGONIA CONTINUA
«Se il divino esiste, esso coinvolge tutto e noi non possiamo essere delle passività rispetto a una divinità suprema. Siamo tutti attori di una cosmogonia continua».
È il pensiero di Luzi. Ne La Barca, quale primo esito della giovane poesia negli anni Trenta, dominante è il movimento, il viaggio, la vibrazione delle cose. «Amici della barca si vede il mondo/e in lui una verità che procede/intrepida, un sospiro profondo/dalle foci alle sorgenti». È un mare astratto, un «mar dell’essere», un mare più pensato che goduto, quello di Luzi. Siamo di fronte all’interpretazione del destino come viaggio e viceversa. Nel verso «Dalle foci alle sorgenti» c’è già tutto Luzi con il dono e l’offerta della sorgente. Risalire la corrente, il viaggio a ritroso, forse è più decisivo della partenza ed è la vera esperienza del viaggio. «Folli di tornare» scrive Luzi interpretando in senso più largo il ritorno come una risalita alla trascendenza di Dio. Questa prima raccolta rappresenta un esempio poetico di “fisica perfetta” in quanto prevale l’intreccio di elementi naturali ed eterogenei come lo sguardo puntato sulla dimensione femminile, il paesaggio, l’acqua dell’Arno, la campagna, e un non secondario vissuto di fede.
Tremore cristiano, lo chiama Caproni, prudenza spirituale, Carlo Bo. Più lo si legge, più la parola vola alta e si cresce in profondità. Lontano dalle avanguardie (pantomime della creazione poetica) e dalla poesia dialettale (una circolazione extracorporea), questo scrittore prolifico vanta più misure e dimensioni del suo essere poeta: post simbolista, ermetico, cristiano, civile, autobiografico, cosmico, prosastico, drammatico. Da questa molteplicità non può che emergere la proverbiale inquietudine di Luzi, sospeso fra cielo e terra in attesa, chissà, di una qualche immaginaria eternità. $ un poeta che trattiene una febbre e una volontà di conoscenza inesauribili. A La Barca seguiranno Un brindisi, Quaderno gotico e soprattutto Avvento notturno con la sua lucentezza oscura, che unisce superficie e profondità. Tre libri che vengono collocati in quel clima ermetico che cerca la purezza della poesia descritta da Mallarmé, cui Luzi dedica un illuminante saggio, così come quello su Leopardi, preda dell’esigenza di una «salvezza fondata sulla qualità del dolore», in contrasto con Dante, per il quale il dolore è solo una «scena» e non il «tutto».
Sarà poi il turno di altri libri fra cui Nel magma, in cui la poesia di Luzi subirà una svolta, diventando più prosastica e allegorica. Il linguaggio si farà più filosofico, con un verso spodestato da un pensiero poetante. E ancora Su fondamenti invisibili, dove la memoria si ribalta in profezia, un’interrogazione senza fine che non trova risposta. E ancora Dal fondo delle campagne con «quell’indimenticabile squillo del telefono nella casa deserta che dà un brivido sottile...». Seguirà Per il battesimo dei nostri frammenti, dove il particolare e il frammento non va apprezzato solo come tale ma come un assoluto significante. Non ultimo è Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, un po’ il suo alter ego che attraverso il suo viaggio vuole ritornare alle sue origini, da Avignone a Siena.
IL TEATRO
Verso la fine Luzi scopre la naturalezza del poeta, intendendo il carattere cosmico in una natura che continua a generare seme, procedendo accanto allo stigma e alla ferita. La poesia ultima di Luzi è dunque la conquista della naturalezza cosmica. Di non poco interesse sono le prose di Biografia a Ebe, in cui Luzi parla di quell’andatura che cerca «la sua eternità senza un allarme» e dichiara la nascita del suo verso tra due misure immaginarie. Poco frequentato è il suo teatro, caratterizzato dai temi del potere (Rosales, Hystrio, ecc.), la finzione (Io, Paola, la commediante, Corale, ecc.) e da una forma di teologia letteraria (Via Crucis al Colosseo). Da non perdere sono la Pietra oscura e le due pièces teatrali: Felicità turbate dedicata agli ultimi giorni di Jacopo da Pontormo e Ceneri e ardori a quelli di Benjamin Constant. Testi che ci conducono alla centralità di Cristo nell’opera luziana, soprattutto con Pontormo, dove Cristo è vissuto come un Cristo crocifisso e non risorto.