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La missione di Scalfari tra Pci e antisocialismo

Fa una certa impressione sentire e leggere di Repubblica, quella naturalmente di carta, in vendita non nelle edicole ma dal notaio, ad un vecchio giornalista che la vide nascere con una certa ansia nel 1976
di Francesco Damato sabato 13 dicembre 2025

3' di lettura

Fa una certa impressione sentire e leggere di Repubblica, quella naturalmente di carta, in vendita non nelle edicole ma dal notaio, ad un vecchio giornalista che la vide nascere con una certa ansia nel 1976. L’ansia che si viveva nel Giornale di Indro Montanelli, nato nel 1974 e diventato rapidamente, fra edicole e palazzi della Roma politica, un partito. Sì, il partito di opposizione alla prospettiva di quella che Giovanni Spadolini aveva chiamato sulle colonne del Corriere della Sera «Repubblica conciliare» ed Enrico Berlinguer poi incartò nella sua proposta di «compromesso storico». Al Giornale si viveva un’apprensione che Montanelli cercava di contrastare con una visione ottimistica delle proprie forze e del buon senso degli italiani, che lui era convinto di sapere interpretare molto meglio di Eugenio Scalfari, il fondatore e direttore del nuovo quotidiano.

Di cui, per carità, egli apprezzava la scrittura e lo stile ma che, senza volerlo offendere, sentiva «più da élite che da popolo», mi diceva a tavola o raggiungendo a piedi o la redazione romana, o casa sua, in Piazza Navona, o casa della mamma, a Prati. Montanelli, ripeto, aveva di Scalfari un profondo rispetto. E quasi ci impediva di attaccarlo nelle cronache o nei commenti, una volta uscita la sua Repubblica. Dalla selezione che ogni giorno egli faceva delle proposte che ci chiedeva per aiutarlo a trovare l’argomento del suo fulminante corsivo “Controcorrente” di prima pagina, escludeva tutte quelle che si riferivano a Scalfari, o solo potessero sforarlo. Un rispetto forse non molto ricambiato, ma cui Montanelli non rinunciava, vantandosene. Quanto il Giornale fu il partito di opposizione ad un governo di democristiani e comunisti tanto Repubblica fu il partito di sostegno a questa prospettiva, nonostante all’inizio qualche bontempone nel Psi di Francesco De Martino lo avessero scambiato per filosocialista a causa delle simpatie riservate alla rivoluzione portoghese dei garofani.

Poi, con Craxi subentrato a De Martino e con le sue «forbici alla barba di Marx» non a caso deplorate da Scalfari, tutti si resero conto, anche Giuliano Amato, che quello sarebbe stato il giornale più antisocialista del panorama italiano. Scientificamente antisocialista, direi, come i comunisti portati a scambiarli per “traditori”. O, nella migliore delle ipotesi per fastidiosi rompiscatole. Disposti anche a fare da sponda alle brigate rosse, durante il sequestro di Aldo Moro, contestando la cosiddetta linea della fermezza adottata dalla Dc di Zaccagnini e Andreotti d’intesa con Enrico Berlinguer e preferendo la linea umanitaria per cercare di salvare l’ostaggio condannato a morte nella fantomatica prigione e tribunale «del popolo». Il Giornale era il giornale o partito di riferimento della parte dei gruppi parlamentari democristiani in maggioranza ostili al matrimonio politico col Pci. «Mi togliete il sonno», mi diceva il capogruppo Dc della Camera Flaminio Piccoli. La Repubblica era il partito di riferimento dell’altra parte di quei gruppi, riconducibile a Ciriaco De Mita promosso statista sul campo da Scalfari in persona.

Che ad un certo punto, avendo raccolto una celebre intervista di svolta moralistica di Enrico Berlinguer, dopo il fallimento della parentesi della «solidarietà nazionale», pensò addirittura di potere ispirare il Pci. Ciò accadde, in particolare, nel 1992. Quando la strage di Capaci ridusse la travagliatissima corsa al Quirinale alla scelta “istituzionale” fra il presidente democristiano della Camera Oscar Luigi Scalfaro e il presidente repubblicano Giovanni Spadolini. Che Scalfari sponsorizzò così platealmente e insistentemente che, quando i gruppi parlamentari comunisti si riunirono per decidere, si sentirono dire dal segretario del partito Alessandro Natta che il Pci non poteva lasciarsi «dettare la linea» dal pur stimabilissimo direttore di Repubblica. E infatti fu eletto Scalfaro per fare subentrare al vertice di Montecitorio Giorgio Napolitano.

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