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Cosa c’è davvero dietro la lite Giuli-Veneziani sulla cultura di destra

L’intellettuale accusa il governo di democristiano immobilismo, il ministro decide di rispondere e con l’intervento di Cardini è il tutti contro tutti, tra rancori e svolte. Ma siamo sicuri che l’esecutivo debba migliorarci la vita?
di Annalisa Terranova sabato 27 dicembre 2025

3' di lettura

Guai a mettersi in mezzo quando litigano due intellettuali di destra. Per questo nessuno qui si schiererà toto corde con Marcello Veneziani o con Alessandro Giuli, ci mancherebbe. Però una cosa va detta: se Giuli non avesse risposto come ha risposto, l’articolo in cui Veneziani accusava il governo Meloni di democristiano immobilismo sarebbe passato inosservato (ne abbiamo letti altri tre o quattro dello stesso tenore e non avevano suscitato il clamore di questo ultimo). I cronisti del colore non aspettavano altro che una bella lite, per una certa stanchezza sonnacchiosa dopo avere cercato di mettere pepe nelle dispute presunte tra Salvini e Tajani. Qui si vola sulle alte vette del pensiero di destra e ciascuno vuole dire la propria.

Diciamo intanto che Veneziani non è uno che le manda a dire: dopo Fiuggi accusò An di avere espulso il fascismo come si fa con un calcolo renale, cioè orinando. Tutti i nostalgici del Msi gliene furono grati. Ancora, colpì Fini con durezza – regnante Berlusconi – per il fattaccio di Montecarlo ma anche Giuli con il suo libro Il passo delle oche non era stato tenero.

Per dire che, a destra, chi si mette contro il capo del momento gode sempre di una certa simpatia e si merita l’aureola del “ribelle” (purché non si tocchi Lui, il Duce, e Giorgio Almirante). Certo, lo sanno tutti, dietro c’è anche e sempre un po’ di voglia di svuotare le scarpe dai sassolini (chi non ne ha?). E tanto potrebbe bastare per chiudere la faccenda incresciosa dell’articolo di Veneziani su La Verità pubblicato guarda caso proprio dopo i fastidi Atreju.

Coincidenza voluta? Ma andiamo oltre: c’è a destra una sacca di scontento per la politica estera del governo. Vorrebbero una Meloni con la kefiah o che dichiari la fuoriuscita dalla Nato o che si mostri sui social col calendario di Putin. Insomma una fetta minoritaria di dissidenti esiste. Quanti sono? Non tantissimi. Quanti voti spostano? Lo zero virgola. Ma hanno applaudito calorosamente Veneziani (il quale però appunti precisi sulla politica estera del governo non li ha fatti, li ha lasciati un po’ nel sottotesto).

La critica va sempre bene perché i laudatores sono quelli che danneggiano di più i leader ma siamo sicuri che un governo serve per migliorarci la vita? Per renderci più felici? È vero che le nostre vite come quella di Veneziani non sono cambiate con questo governo ma la politica non serve, piuttosto, ad affrontare con una visione diversa alcuni temi dall’immigrazione alla sicurezza, dal ruolo dell’Ue alle riforme costituzionali? Franco Cardini, intervenuto nel merito da padre nobile, ha lamentato che la destra non abbia una rivista (ma ormai tutti scrivono sui social, e non è certo colpa di Giorgia Meloni) e ha detto che la mostra su Tolkien era stata una mossa identitaria ridicola.

Può darsi: ma se non l’avesse fatta Sangiuliano non ci sarebbe stata nessuna mostra. E è meglio fare e pentirsi piuttosto che non fare e lamentarsi... Tra l’altro proprio Cardini ha dato la misura di come funzionano a destra le liti tra intellettuali: lo storico ha ridimensionato la figura di Veneziani (filosofo? Una definizione che non lo trova d’accordo) e non ha risparmiato qualche frecciatina sulle letture di Giuli.
Ma se si è detto più di una volta che ciascuno ha il suo pantheon anche Giuli sarà o non sarà libero di leggere quello che gli pare? Siamo poi così certi che un ministro della Cultura di destra abbia come funzione principale quella di compiacere gli intellettuali della sua area di riferimento? Magari anche no. Magari deve occuparsi di settori cruciali – cinema, arte, editoria – che costituiscono la vera rete attraverso la quale si costruisce un immaginario.

E a questo punto, ai tanti che hanno applaudito le legittime critiche di Veneziani, sarebbe da fare una semplice domandina: un altro ministro della Cultura dinanzi alla fatwa che ha colpito la casa editrice Passaggio al Bosco, avrebbe fatto come Giuli («No alla censura») o avrebbe fatto come il sindaco di Roma che ha disertato la mostra Più liberi più libri per la presenza dei “fascisti”? La risposta la conoscete tutti. E contraddice il ritornello degli scontenti sul fatto che nulla è cambiato.

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