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Leone porta la Chiesa verso l’unità nella verità

Questo 31 dicembre, per la Chiesa, non è solo la fine del 2025. Con la morte di Francesco, il 21 aprile, e l’elezione di Leone XIV, l’8 maggio, si è verificata anche una svolta che segna un cambiamento d’epoca. La Treccani indica proprio Leone XIV come “Personaggio dell’anno 2025”.
mercoledì 31 dicembre 2025

4' di lettura

Questo 31 dicembre, per la Chiesa, non è solo la fine del 2025. Con la morte di Francesco, il 21 aprile, e l’elezione di Leone XIV, l’8 maggio, si è verificata anche una svolta che segna un cambiamento d’epoca. La Treccani indica proprio Leone XIV come “Personaggio dell’anno 2025”. Curiosamente lo ha scelto per quegli aspetti che, fin dall’inizio, lo hanno differenziato dal predecessore, ovvero «lo stile di governo parsimonioso di presenza e parole» e la volontà di distogliere da sé i riflettori per «riportare al centro della vita ecclesiale valori fondanti della cristianità come sobrietà, misura e ascolto». Tutto questo – secondo la Treccani – fa della «Chiesa di Leone XIV un nuovo importante protagonista della scena internazionale». Si tratta di caratteristiche che, dall’elezione del nuovo Papa, abbiamo illustrato su queste colonne. Poi, nel corso dei mesi, abbiamo sottolineato, di volta involta, le correzioni di rotta che Leone XIV ha iniziato a fare rispetto alla direzione precedente (nonostante le stonature di un apparato ecclesiastico ancora bergogliano), per esempio su politica internazionale, famiglia, vita, legge naturale, liturgia, radici cristiane dell’Europa. Inoltre – accantonando gli eccessivi sociologismi del predecessore - il magistero del nuovo Pontefice si è caratterizzato per la sua forte impronta spirituale ed esistenziale, che attinge alla ricchezza della tradizione patristica.

Lo si è visto in particolare al Giubileo dei giovani a Tor Vergata, in agosto, e nelle omelie e nei discorsi di questo Natale, oltreché nelle sue meditazioni del mercoledì. Significativi anche i discorsi tenuti dal Papa durante il pellegrinaggio a Nicea per il 1700 anni di quel Concilio perché evidenziano il suo amore per la dottrina della Chiesa e la consapevolezza dei tentativi odierni di erosione della fede (per esempio quando ha messo in guardia da un neo-arianesimo che “riduce” la persona di Cristo e la sua divinità). In precedenza, durante il Giubileo, aveva ribadito l’annuncio di Cristo come unico salvatore e – soprattutto per i politici cristiani – il dovere di non tradire mai la propria coscienza. Rispetto a chi, nei dodici anni precedenti, era sempre desideroso di épater, di sconcertare, di stupire, Leone XIV ha mandato il messaggio opposto (anche ai religiosi e alla Curia): rassicurare, tornare sulla strada maestra e valorizzare. C’è anche un magistero dei gesti, che si esprime nei segni, nei riti, nelle tradizioni (pure nel presepio vaticano), con cui al popolo cristiano è arrivata questa pacificante idea del ritorno a casa. In sintesi: la rivoluzione è finita (male). È chiaro anche da come il Papa ha corretto e disinnescato (senza spaccature) il sinodo amazzonico e quello tedesco. Lo stile “morbido” di Papa Prevost ha come scopo dichiarato l’unità. Una bussola salutare dopo un pontificato come quello bergogliano che ha provocato fratture profonde dentro la Chiesa e grande smarrimento tra i fedeli. C’è tuttavia da osservare che nella Chiesa - come insegna il Vangelo e come documenta la sua storia- l’unità si può fare solo sulla verità. Questa è la grande prova. Leone XIV ripete sempre che vuole uscire dalle polarizzazioni fra progressisti e conservatori. Ma si tratta di categorie mondane che possono fuorviare, inducendo a cercare un’unità politica che sacrifica la verità. Nella realtà non esiste una “Chiesa progressista” e una “Chiesa conservatrice”. Esiste la Chiesa cattolica apostolica romana che, nel solco della tradizione, con il Concilio Vaticano II e con i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ha tracciato la strada del III millennio. E poi esiste la tentazione dell’“autodemolizione”, come la definì Paolo VI il 7 dicembre del 1968 parlando delle tendenze progressiste e moderniste esplose dopo il Concilio (ma estranee ad esso).

Storicamente queste tendenze non hanno mai prodotto e non producono una fioritura della Chiesa, ma sempre e solo un crollo della pratica religiosa, delle vocazioni e della presenza cattolica. Non a caso chi avversa la Chiesa è sempre pronto ad applaudire tali correnti. Al contrario la Chiesa rinasce, fiorisce e diventa missionaria dove ha la voce chiara e riconoscibile della tradizione cattolica come in Africa e negli Stati Uniti, i cui episcopati sono stati plasmati da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, due giganti da seguire, da studiare e da non dimenticare (peraltro due uomini del Concilio). Del resto oggi è anche il terzo anniversario della morte di Benedetto XVI (il 31 dicembre 2022) e questa coincidenza ci ricorda la sua intelligenza profetica che può illuminare, nell’anno che inizia, anche il Concistoro che il Papa ha voluto per il 7-8 gennaio. La sua famosa lezione di Ratisbona evocò gli antichi rapporti conflittuali fra Islam ed Europa, ma ci offrì anche l’occasione per riflettere sull’immigrazione di massa islamica in Europa. Che non può rientrare nella casistica biblica dell’accoglienza del singolo forestiero, trattandosi di milioni di persone che, in parte, non vogliono integrarsi e sono ostili alla nostra civiltà. Inoltre Ratzinger illumina anche su un altro fenomeno. In Occidente non abbiamo più un progressismo novecentesco, che ha i lavoratori come base sociale e propone politiche sociali. Abbiamo un agglomerato ideologico (relativista e più o meno woke) che avversa – anch’esso – la nostra civiltà giudaico-cristiana occidentale. E questo rende la sinistra sempre più incompatibile con la fede cattolica come lo era l’ideologia comunista.

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