Alla fine i testardi ucraini ci sono riusciti, non si sono arresi al buio: ci sarà una piccola fontana luminosa nel Natale senza pane, senza acqua, senza riscaldamento di Kiev. Una sorgente di luce minima ma clamorosamente possente, nella sua umiltà: è la voce del popolo che non si rassegna al destino di questa guerra folle e criminale. Pareva fino a poco prima una missione impossibile. Invece, nel giorno di San Nicola vescovo, l'albero di Natale più simbolico di questa capitale millenaria, brillava nella notte precoce, in piazza Sofia. Le fotografie che proponiamo in sequenza mostrano come un immenso abete sia stato sontuosamente adornato negli anni scorsi, con la cura e la ricchezza di ori e di colori cui il cristianesimo orientale non riesce proprio a rinunciare. L'abete stavolta è alto 12 metri invece dei 31 dello scorso anno, sui rami ci sono colombe bianche, e un grande angelo giallo e blu, che riteniamo sia dotato di spada come San Michele. I media ucraini hanno mostrato su internet la coda di cittadini coi bambini per mano in posa per la foto.
Non c'è ira, ma uno strano positivo presentimento davanti all'albero lucente. Illusione? Presenziava il sindaco, Vitaliy Klitschko, il quale dichiara convinto che «deve esserci un albero di Natale! I nostri figli devono avere un momento di festa e di vacanza nonostante gli sforzi dei barbari russi per privare gli ucraini della gioia del Natale». Aggiunge una parola stridente con il panorama devastato: sogno. «Il sogno di pace e di vittoria si avvererà di certo!». Il mistero del Natale è anche questo. Fa alzare in piedi chi non pensava fosse possibile. Forse conveniva alla propaganda, per mobilitare il mondo alla raccolta di aiuti, non riuscire ad accendere neppure un lumino. Invece nessun piagnisteo, bensì orgoglio patriottico.
IL CASTELLO DI ERODE - Eppure se fossi un papà ucraino non so se oserei accompagnare i miei figli a omaggiare quelle luci del Bambinello redentore. Invece loro sì, che bel popolo. Attenti però. Erode è bene informato, non aspetta invano i Magi nel suo castello per avere notizie, come nel Vangelo di duemila anni fa.
Roba vecchia, Astrologi invece di satelliti. Nel castello-Cremlino in questo presepio disperante si fanno i conti su che cosa convenga: insistere nel terrore, macchiare di sangue le chiese dove si celebrerà la messa della natività, o soprassedere per qualche giorno, ora, minuto. Almeno nella notte santa. Finora la realtà è stata una ostinata smentita della speranza. La strage degli innocenti in Ucraina è cominciata sin da febbraio. Sono ormai trecento giorni che il cielo non è percorso da stelle comete ma da missili che con schifo chirurgico si abbattono su palazzi, scuole, ospedali, centrali elettriche, depositi di carburante, acquedotti. Bambini e vecchi!
Perché nei palazzoni sovietici sono rimasti vecchi e bambini, donne e uomini sono via, tutti chiamati al fronte.
E allora perché puntare i razzi contro gli inermi? Niente di nuovo sotto il sole. I bombardamenti terroristici non sono stati inventati da Putin. Sono la costante delle guerre da cento anni. L'implorazione del Papa per una una tregua natalizia è stata rifiutata dallo Zar, e nemmeno Zelensky pare propenso a consentire all'esercito russo di prendere fiato e di riorganizzarsi. Tocca augurarsi ci sia risparmiato l'orrore di un missile sul Natale dei bambini di Kiev e Odessa.
Ma non ci conto. Il patriarca Kirill, definito da Francesco il chierichetto del Cremlino, oserà comportarsi come Ambrogio, il grande vescovo di Milano, che impose all'imperatore Teodorico di umiliarsi per aver ammazzato innocenti a Tessalonica? Figuriamoci. I precedenti depongono per la benedizione dei cannoni. Ho avuto la fortuna di vivere dieci anni e dodici anni fai giorni del Natale a Kiev e a Odessa. Un gelo artico.
Gente povera. Mercatini con merci scadenti. Ma i bambini erano felici camminando e correndo sulla neve battuta, andando su e giù dai marciapiedi. Il ghiaccio luccicava, i teatri dell'opera rappresentavano i capolavori di Giuseppe Verdi con scenografie senza pretese, ma che musica, maestro. Dovunque cesti di rose misteriosamente splendide nonostante i quindici gradi sotto zero. Ora per Odessa, la perla cosmopolita del Mar Nero, è tempo di paura e buio.
L'ANIMA ORTODOSSA - Sono in corrispondenza con una professoressa della locale università: «Dobbiamo accontentarci della luce interiore, del tepore degli affetti. Quel folle assassino di Putin procederà. Ormai abbiamo sperimentato la sua mala fede. Eppure la gente comune è spaventata dallo slogan martellato dai mass media: "guerra fino all'ultimo ucraino". In questo Natale ho appeso un manifesto, che i miei studenti vedono durante le lezioni da remoto: "Pace in terra agli uomini di buona volontà"». A Mosca, in Siberia, nei vasti territori oltre gli Urali, ci sono sacerdoti coraggiosi che predicano la pace, sono dalla parte delle madri che mostrano le fotografie dei figli di cui non sanno se siano vivi o morti. La Russia profonda piange i circa 120mila caduti, gettati nel falò della guerra come balle di paglia.
Invece, nella capitale, si esagera nell'esposizione sperticata di abbondanza. Luci, allegria. Secondo una tecnica tramandata da Stalin e Chruscev bisogna che almeno Mosca e San Pietroburgo comunichino alla periferia del proprio impero e all'Occidente l'immagine della cornucopia, abbondanza di feste, di luminarie. Una menzogna clamorosa. Al di fuori delle metropoli che fungono da vetrine acchiappa gonzi, c'è una miseria insostenibile condita dai lutti.
Ma tant' è. C'è chi si presta a questo gioco sporco. Ad esempio l'ex ministro degli Esteri austriaco, la signora Karin Kneissl, che non si vergogna a pubblicare su Twitter fotografie di Mosca «ridente e sotto la neve natalizia». Luci abbaglianti, sfarzo zarista, niente a che fare con il povero meraviglioso abete di Kiev.
VOLONTÀ DI DISTRUGGERE - Al suo tweet intitolato «Mosca + neve = bellezza» ha replicato con analogo strumento il premier polacco Mateusz Morawiecki che ha rovesciato la frittata putiniana diffondendo immagini di città ucraine con i palazzi demoliti da missili, nessuna luminaria, data l'assenza di corrente elettrica, neve sporca. Con questa didascalia lancinante: «Neve -buio -guerra». Eppure quell'abete di piazza Santa Sofia a Kiev, con le sue luci, le bianche colombe e l'angelo giallo-blu, dice, spes contra spem, buon Natale.