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Vittorio Feltri, meglio vecchi che morti (o giovani)

lunedì 16 gennaio 2023

3' di lettura

Massimo Fini da alcuni anni scrive per il Fatto Quotidiano e confesso di leggerlo sempre anche se non condivido neanche una riga dei suoi articoli. Di uno scrittore o di un giornalista non è certo obbligatorio sposarne il pensiero, ci mancherebbe: ma se ciò che scrive ti interessa è ovvio che tu lo segua volentieri. Fini ieri ha sostenuto in un pezzacchione che i vecchi tutto sommato debbano pentirsi di essere tali perché sono un disturbo per se stessi e per la società. La sua opinione come al solito è bene argomentata e la rispetto come ho sempre fatto da quando seguo, a volte molto da vicino, Massimo come uno dei migliori autori italiani. Ricordo che egli lavorò con me quando negli anni Ottanta dirigevo l'Europeo, settimanale importante e autorevole, e successivamente quando passai all'Indipendente, quotidiano che ebbe un successo clamoroso prima di essere assassinato dal suo editore. Ebbene non ho mai bocciato un suo elaborato non per cortesia, ma perché la prosa del nostro era e rimane di alto livello, benché le tesi da lui sostenute talvolta mi lasciassero non perplesso ma sbigottito.

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Fini sostiene che l'allungamento della vita, avvenuto gradualmente seguendo l'evoluzione della scienza medica, si è rivelato un boomerang, non solo per le persone che crepano dopo gli ottanta anni, creando e creandosi problemi gravi, ma anche per le famiglie che devono accudirle e per l'intera società. Evidentemente in queste stralunate teorie c'è qualcosa di vero, ma solo qualcosa. La questione per me è un'altra. Stare al mondo spesso è una fatica e pure una rottura di scatole anche per la gente giovane e di mezza età. Ma è fatale che chi mette piede sulla terra poi ci voglia restare a tutti i costi, tranne rare eccezioni.

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Noi umani siamo fatti così, in maggioranza campiamo male o almeno maluccio, tra sofferenze, sacrifici e disagi, ma appena ci becchiamo l'influenza cerchiamo di curarci per paura di aggravarci e di tirare le cuoia. Se uno a quaranta anni è colpito dal tumore si preoccupa come un ottantenne, perché la morte fa paura, come ogni mistero, a qualsiasi essere vivente, animali compresi. Anche quelli che credono in Dio e nel paradiso fanno di tutto per non conoscere il padreterno e non frequentare il luogo di beatitudine.


Il trapasso spaventa tanto i giovani quanto i nonni, non c'è differenza. L'istinto di conservazione è come la sete e di matusalemme come noi che vanno dal medico ogni dieci minuti a tirarla per le lunghe, ma dei ragazzi che si fanno mantenere dai candidati alla tomba e li ricambiano odiandoli, saccheggiando i loro risparmi, mettendo a soqquadro i centri abitati, rapinando chi capita loro a tiro e talvolta uccidendoli per alleggerirli di qualche euro. Poi c'è il tema delle pensioni che ci costano un occhio della testa, e qui Massimo ha ragione. E' assurdo che un sessantenne il quale faccia un lavoro che non sia quello del carpentiere smetta di lavorare gravando sul bilancio della Previdenza sociale, un impiegato delle poste - faccio per dire- può tranquillamente essere impegnato allo sportello fino a 70 primavere, che ormai sono inverni.


Io sogno centri abitati frequentati soltanto da vecchietti calmi e ragionevoli, che non vadano in discoteca a fare casini, che non si droghino come deficienti e non ci chiedano la mancia per sbronzarsi. Io amo i vecchi forse perché sono vecchio anche io, e detesto chi strilla, chi protesta, interrompe il traffico sulle autostrade per imporre al governo di lottare contro i cambiamenti climatici che ci sono sempre stati e non hanno mai ammazzato nessuno. Caro Massimo o vai nell'aldilà quando ti avvicini alla cinquantina o sei condannato a incanutire. Preferisco la seconda ipotesi. 

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