Acquisiti i risultati elettorali e spenti i microfoni delle conferenze stampa, in Lombardia e Lazio ora si avvia la giostra delle composizioni per le nuove giunte regionali. Un tema interessante per il giorno dopo, però, riguarda l’astensionismo, che apre ad uno scenario di sociologia elettorale utile a smontare luoghi comuni e dinamiche consolidate. Premessa: quando così pochi elettori vanno alle urne (parliamo del 37,1% in Lazio e il 41,67% in Lombardia) è una sconfitta per l’intero quadro politico, oggi chiamato ad interrogarsi, ancora di più, sulla necessità di trasmettere con il proprio operato, e con il radicamento dei partiti, il senso di un gesto (quello di interrompere la propria domenica per andare al seggio) oggi reputato inutile da troppi italiani. E però c’è un dato che, immergendoci nei numeri, risalta: l’astensionismo colpisce più il centrosinistra che il centrodestra. Basta avere pazienza e armeggiare con la calcolatrice per arrivare alla demolizione di quello che sembrava un assunto consolidato, ovvero che la sinistra sa mobilitare gli elettori molto meglio del centrodestra: l’esito della Lombardia e del Lazio ha dimostrato che non è vero.
CONTI ALLA MANO
Avvertenza: i calcoli che seguono sono eseguiti considerando i voti al presidente, espressione di ogni schieramento. Avvertenza numero due: il risultato che arriva disegna un quadro affidabile, sì, ma con margini di variabilità, considerando che, negli anni, emergono candidati civici ed avventure elettorali spesso lillipuziane che erodono voti qui e là. Questi ultimi, dunque, non sono stati considerati. Avvertenza numero tre: nel 2013 e nel 2018, sia in Lombardia che in Lazio contrariamente alla scorsa domenica si votava per i consigli regionali insieme alle elezioni politiche (nel 2018, addirittura, tutto si svolse in un solo giorno, il 4 marzo) e quindi ciò ha influito nella partecipazione alle urne. Fino ad un certo punto, perché il trend dell’affluenza era comunque discendente. Avvertenza numero quattro: mentre scriviamo nel Lazio manca lo scrutinio in una manciata di sezioni, circostanza che comunque non cambia la sostanza del ragionamento.
Dopo questi elementi preliminari, ecco lo scenario. Partiamo dalla Lombardia. Nel 2018 l’affluenza fu del 73,11%, mentre nel 2013 del 76,74%. Se raffrontiamo la tornata di domenica con quella di 5 anni fa, il centrodestra (guidato in entrambi i casi da Attilio Fontana) perde 1.018.892 voti. Il centrosinistra, invece, ne perde 1.615.222. Va detto che nella tornata appena conclusa, il centrosinistra si presentava nella coalizione Pd-Movimento 5 Stelle-Alleanza Verdi Sinistra in appoggio a Pierfrancesco Majorino, mentre nel 2018 andavano separati. Il Pd schierava Giorgio Gori mentre il Movimento 5 Stelle Dario Violi. E poi c’era un candidato per “Liberi e Uguali”, Onorio Rosati. Dunque il risultato è stato ottenuto considerando l’area unica che si ricava sommando i tre risultati. Se confrontiamo il 2023 sul 2013, poi, il centrodestra (che dieci anni fa schierava per il Pirellone Roberto Maroni) perde 682.444 voti. Il centrosinistra, anche in questo caso calcolando sommando Pd+Movimento 5 Stelle che si presentavano scissi pure allora, invece subisce un’emorragia di 1.874.759.
VARIABILI
A onor di cronaca, perla Lombardia è opportuno sottolineare anche un altro dato. Ci fu un terzo polo centrista che entrò in partita nel 2013, guidato dall’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, e ottenne 236.597 voti. Letizia Moratti, invece, ha ottenuto 320.346 voti. Dunque di più. Ma si tratta di esperienze politiche per nulla comparabili, perché mentre Albertini era espressione di Scelta Civica di Mario Monti, l’ex ministro dell’Istruzione è stata schierata da Azione e Italia Viva, dunque realtà molto diverse per genesi e vocazione. Capitolo Lazio. Qui, l’affluenza della scorsa domenica si è fermata al 37,1%, a fronte del 66,55% del 2018 e del 71,96 del 2019. Se si compara la recentissima tornata elettorale con quella del 2018, ricaviamo che la coalizione del centrodestra, oggi guidata da Francesco Rocca e ieri da Stefano Parisi, ha perso 181.280 voti. Anche qui c’è un dato particolare: cinque anni fa, l’area si presentò spaccata, stante la candidatura autonoma dell’ex sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi. Dunque, il risultato si ottiene considerando anche i suoi 150mila voti circa.
Il centrosinistra, invece, all’epoca vincitore con Nicola Zingaretti, va giù di 437.703 voti. Il Movimento 5 Stelle, che si presentava con Roberta Lombardi, primissima capogruppo alla Camera, subisce la perdita più grande, 648.433. Andiamo ancora più indietro, e raffrontia2013 - 2023 mo il 2023 con il 2013. Qui il centrodestra, che dieci anni fa schierava Francesco Storace, perde appena 25mila voti. Cifra che si ottiene senza considerare, però, la candidatura del Terzo Polo Giulia Bongiorno,visto che non è possibile identificare il suo consenso di allora proveniente tutto dal centrodestra. E il centrosinistra? Da Zingaretti di un decennio fa, che vinse, sino a D’Amato sconfitto due giorni fa vanno via 749.365 voti. Sostanziosa anche la perdita di consensi per il M5S, allora capitanati da Davide Barillari, che conquistava 475.303 voti in più rispetto a Donatella Bianchi. Era l’anno dell’esordio degli allora “grillini” sulla scia dell’antipolitica pura. Un’era politica fa.