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La fabbrica di cioccolato: se la sinistra ora si pente del politicamente corretto

di Pietro Senaldi mercoledì 22 febbraio 2023

4' di lettura

Come si dorme bene sull’amaca. E come si procede beati verso il burrone con gli occhiali foderati di conformismo. Abbiamo scoperto che il libro preferito dalle menti illuminate nostrane è La fabbrica del cioccolato di Roald Dahl. Gli ricorderà di quando avevano i calzoni corti e la vista lunga. Altrimenti non si spiega la levata di scudi in corso contro la casa editrice inglese Puffin Books, colpevole di rieditare il suddetto capolavoro per giovanissimi emendandolo delle parole “grasso” e “brutto”. Così vengono appellati nella versione originale due protagonisti, il piccolo, goloso e obeso, Augustus Gloop e la tremenda signora Twits, riconvertiti in “enorme” e “bestiale” in nome del politicamente corretto, prima che anche questi due aggettivi vengano ritenuti sconvenienti e bisognosi pure essi di sostituzione.

I progressisti nostrani hanno assistito senza battere ciglio alle peggiori follie della cancel culture anglosassone, dalle statue di Cristoforo Colombo abbattute al principe azzurro gay, da Cenerentola nera al bando delle tragedie greche dai corsi universitari perché maschiliste, dallo sbianchettamento di Shakespeare, classista e violento a quello di Virginia Wolff, razzista.

Oggi, forse perché golosi di cioccolato, si accorgono che si sta esagerando e il mondo, anziché andare avanti, regredisce e riduce gli spazi di libertà, anche grazie al loro contributo. E così su Repubblica Michele Serra, per citarne uno, suggerisce di boicottare i libri della Puffin Books e di fare la guerra a chi fa la guerra ai capolavori della letteratura «distruggendo i diversi contesti storici e culturali per uniformare tutto a una (pretesa) nuova sensibilità, con un mostruoso processo di contemporaneizzazione di ciò che non lo è».

DOVE TUTTO È INIZIATO
Per carità, siamo d’accordo con il j’accuse, ma non possiamo fare a meno di notare l’assenza dell’auto-accusation, per dirla in francese, lingua libertina e che quindi usiamo finché ci è concesso. È tutto giusto, quanto forse inutile, il tardivo motteggiare adesso sul fatto che chi ha paura delle parole ha paura dei contenuti e chi teme i contenuti in fondo è perché vorrebbe maneggiarli, o manipolarli, ma non sa come fare. E poi la verità è ben più grave.
La cancel culture è nata nel mondo anglosassone delle università da 100-200mila dollari l’anno di retta e dei radical-chic convinti che la pizza sia stata inventata sulla Quinta Strada. Un’umanità talmente ignorante da non rendersi conto di che cosa davvero vuole cancellare, attanagliata da un‘anacronistica e patetica ansia di futuro e modernità e in preda a un’ossessione orgiastica di scrivere la storia azzerando il passato che ha portato alle conseguenze che oggi vediamo: l’estinzione dei fondamenti dell’identità occidentale tramite suicidio.

I RINNEGATI DELLA STORIA
Passi per gli americani, e se qualcuno ritiene l’affermazione razzista, chi se ne importa. Gli uomini e le nazioni sono diversi e chi lo nega o vuole ergersi a dittatore del pensiero globale o ha la mente già plagiata. Ma il punto è che i progressisti europei, italiani in particolare, ricchi di millenni di storia e di cultura, hanno acconsentito e applaudito acriticamente alle iniziative della cancel culture troppo a lungo. Forse lo hanno fatto perché era di moda, e sarebbe grave, forse perché, per sentirsi al passo con i tempi, hanno perso il loro spirito critico, e sarebbe peggio, o forse in fondo non sono così illuminati e svegli come si credono, il che pare sempre più probabile. Fatto sta che ora tornano indietro come il figliol prodigo, ma senza pentimento, spinti dalla difesa di una storia per bambini, il che ci fa pensare che forse adulti non lo sono mai diventati, se per adulti si intende capaci di sviluppare un pensiero proprio, anche anticonformista. Chiudono il recinto sperando che i buoi non siano tutti scappati.

CHIEDETE SCUSA
Si sappia che, se qualcosa ancora si è salvato della nostra cultura e dell’orgoglio che ne deriva, è malgrado loro e grazie alla resistenza di chi, fin dal primo momento, ha combattuto i deliri che arrivavano da Oltreoceano, a costo di passare per retrivo, addirittura ignorante perché difendeva i classici. A me francamente della Fabbrica del Cioccolato interessa poco. Mi rammarica molto di più che la monorotaia del pensiero unico e delle magnifiche sorti progressive abbia impedito di affrontare qualsiasi tema, dai diritti civili alla guerra in Ucraina, dalle leggi di bilancio ai processi di Berlusconi e Ruby, dall’eredità del fascismo a quella del comunismo, dall’emergenza immigrati clandestini all’allarme sicurezza nelle nostre città, al di fuori del recinto della propaganda e del dogmatismo. E mi infastidisce, anche se non mi sorprende, che chi ha sposato con afflato le paranoie del politicamente corretto, infelicitando la vita a tutti, ora con altrettanta foga condanni quel che si è allevato in seno. 

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