Non vorremmo che Marco Travaglio la prendesse male se osserviamo, ora, che Scemi di guerra corrisponde anche all’autobiografia sua e di molti come lui, ma anche di molti come noi, abituati a virare il tema del giorno semplicemente applicando le stesse griglie interpretative che applicheremmo a un reato penale, a una finanziaria malfatta, a una lottizzazione sfacciata, a un episodio di cronaca e insomma: a ciò che in tempo di pace guardiamo attraverso lenti di pace e siamo soliti giudicare nelle urne o nei tribunali (a lui cari) o peggio con moralismi a noi cari per niente. La differenza la fa la parola «guerra»: è questa che stravolge i nostri categorici «fatti quotidiani», non gli «scemi» che ci sono sempre e che, soprattutto, non contano nulla, mai: men che meno a margine di scenari bellici.
CARNE DA SOCIAL
Eravamo solo carne da cannone, un tempo: ora, perlomeno, siamo carne da social o da quotidiani, ma restiamo gli scemi della Storia, neppure le retrovie, macché, solo un pubblico pagante (moltissimo) e peraltro sprovvisto di un tabellone per capire chi stia davvero vincendo. Intanto possiamo agitarci, menarci, sventolare bandiere o striscioni, prendercela con Bruno Vespa o con l’Orsini di turno, tanto non cambia niente, proprio zero: neppure la propaganda è ormai più nelle nostre mani – o non consapevolmente – e non c’è movimento d’opinione che conti o che possa influenzare qualcosa; tantomeno contano certe manifestazioni pubbliche come quelle che solleticavano la Storia circa un secolo fa, ed è per questo che fa sorridere, nel libro di Travaglio, vederlo citare come «eccezionale» «la manifestazione per il negoziato e il cessate il fuoco del 5 novembre 2022 in piazza San Giovanni a Roma», come se non fosse stata da scemi pure quella. Ma non ci sono manifestazioni, pubblicazioni e persino costituzioni o carte varie che possano davvero influenzare le guerre: perché le guerre, semmai, sono quelle che le varie carte le fanno scrivere o riscrivere: dopo.
Travaglio nel suo libro-raccolta scrive che «da quando la Russia dell’autocrate criminale Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, abbiamo trasformato quella tragedia in una farsa». Beh, la frase è sin troppo lunga, bastava dire «Putin ha invaso l’Ucraina», dopodichè non esistono farse, non esiste passato, non esistono più le cassandre, non esistono esimenti, aggravanti o attenuanti: la guerra non è l’igiene del mondo, ma lo è del parolame che viene pronunciato frattanto. Quindi Travaglio fa bene a citare la frase di Winston Churchill secondo cui «gli italiani vanno alla guerra come se fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come se fosse la guerra»; il punto è quanto sia italiano anche Travaglio, quanto i suoi libri e articoli (che sono la stessa cosa) fomentino lo stesso malinteso che spinge gli italiani ad affrontare il conflitto come se fosse un tema qualsiasi, appunto: colpevoli e innocenti, buoni e cattivi, guardie e ladri, padroni o servi, giusto e sbagliato, presenzialisti o no, coerenti o no, in linea con questo o con quest’altro pezzo di carta: tutte categorie svaporate sotto le bombe, ma Travaglio non si astiene dal compilare ogni pagellina possibile.
SENTENZE
E ci sono dentro tutti (tranne certi suoi amici che pure hanno sparato cazzate da impiccagione) anche se la sentenziosità di ogni frase detta su una guerra suona comunque come una scemenza, parole scritte sull’acqua, in qualche caso sul sangue. Forse Travaglio ritiene che non sapessimo che l’Ucraina era (fosse, sia) un paese straccionesco e corrotto, e che da noi uno come Zelensky non governerebbe un condominio; forse pensa che Zelensky non abbia stancato anche noi tutti, lui e la sua guerricciola via social e il suo presenzialismo da Gorbaciov in pensione, come se non sapessimo che, fosse per lui, la Terza guerra mondiale sarebbe scoppiata almeno un paio di volte, Zelensky che pare un’idrovora che risucchia soldi e armi e uomini come se il punto fosse tutelare lui e non noi stessi da Vladimir Putin. Il punto resta appunto che lui, Putin, ha invaso l’Ucraina, e che le conseguenze a cascata prescindono dall’Ucraina (pur rendendola simbolo) e da ogni sobria opinione, da ogni trattato, galateo democratico, confine dell’alleanza, provocazioni oggettive della Nato, esercitazioni tra scemi di guerra pro-Putin o anti-Putin, prescinde persino dal piccolo Putin che frattanto Zelensky è diventato nella sua Ucraina, dal suo aver mezzo fuori legge partiti di opposizione e reporter un po’ troppo liberi.
CHI DÀ PATENTI A CHI
È vero, è ridicola l’idea che uno come Zelensky distribuisca pagelle e patenti di affidabilità a questo o a quello, Berlusconi compreso: e tuttavia Marco Travaglio dovrebbe spiegarci che cosa dovremmo farcene delle pagelle delle patenti sue, che non ha neppure il problema di salvare vite umane ma soltanto di salvare copie in edicola. Poi sì, lo sappiamo, la guerra fa ridondare di neo-putiniani, di putiniani smemorati, di nazi-ucraini, di ingerenze Usa ordite da lontano (come è sempre stato) e da sovranità limitate anche per l’assenza di statisti alla Bettino Craxi, detto in particolare a Travaglio: ma sono tutti danni collaterali da prevenire prima, o affrontare dopo, quando la guerra finirà e tutto cadrà in un’eterna prescrizione. Le guerre sono nostre o sono altrui. Questa è nostra. Le guerre vanno fatte o vanno parlate. Travaglio scrive. Gli scemi muoiono in guerra (in Ucraina) o non possono parlare di guerra (in Russia) o scrivono e straparlano di guerra (in Italia) e noi speriamo che Travaglio non espatri.