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Annalena Benini? Evviva, finalmente il Salone del Libro non è comunista

di Luca Beatrice martedì 4 aprile 2023

3' di lettura

L’avevano detto e l’hanno fatto: scegliere il direttore del Salone del libro di Torino edizioni 2024-2026 prima della presentazione ufficiale del 2023, che infatti va in scena questa mattina. Ed è uscito a sorpresa il nome di Annalena Benini, presentata ieri sera alla stampa dal presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, dal Sindaco di Torino Stefano Lo Russo e dal “capo” dei privati Silvio Viale. Qualcuno in sala ha ammesso di non conoscerla, ma in fondo anche Nicola Lagioia non era così popolare quando arrivò, la fama se l’è costruita proprio grazie al Salone che resta l’evento cultural-mercantile più importante del Paese. Scongiurato il pericolo Paolo Giordano e la fotocopia di quanto già visto da lustri, almeno si può dire che Annalena Benini non rappresenta per via diretta la “sinistra sinistra” che fa il bello e il cattivo tempo nell’editoria italiana. Qualcosa che somiglia di più a una “sinistra centro”, forse più aperta al dialogo e democratica, e che premia soprattutto la linea de Il Foglio, il quotidiano su cui Benini cura l’inserto e il podcast Il Figlio.  Giornalista e scrittrice, dirige la rivista culturale Review; ha pubblicato La scrittura o la vita. Dieci incontri dentro la letteratura (Rizzoli 2018). Per Einaudi ha curato l’antologia I racconti delle donne (2019) ed è in uscita Annalena (2023) che è il suo primo romanzo ma nonostante il titolo non pare autobiografico. Per la Rai ha scritto e condotto i programmi televisivi Romanzo italiano e Pietre d'inciampo.

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Nata a Ferrara 47 anni fa, vive a Roma, è moglie di Mattia Feltri e nipote di Daria Bignardi. Erroneamente da quanto si dice in giro non sarà la prima donna a dirigere il Salone del libro che nell’interregno tra il duopolio Picchioni–Ferrero e prima dell’arrivo di Lagioia fu affidato alla coppia Giovanna Milella per la presidenza e Giulia Cogoli, ex del Festival della mente di Sarzana, per la direzione. Non andò proprio bene, segno che non sempre dire donna è dire garanzia e infatti nella storia ufficiale del Salone questo episodio è sostanzialmente cancellato. Pare anche che i vertici politici torinesi non sapessero molto di lei, mentre il ministro Gennaro Sangiuliano si è subito espresso molto favorevolmente. La speranza è che Benini non si comporti come un tupamaro della sinistra (anche se sul nome dei nuovi consiglieri si potrebbero già aprire le scommesse), che ci sarà una maggior possibilità di dialogo, che il suo Salone pur somigliando inevitabilmente ai precedenti (in fondo di una fiera editoriale si tratta, non è che puoi inventarti chissà quali stranezze) potrebbe operare in leggera discontinuità. Chissà, magari potremmo sentire qualche voce dissonante, non sarà obbligatorio vederli ancora una volta tutti schierati quelli di sinistra come una falange armata, e forse qualche area di dialogo tra parti diverse non sarà più utopia.

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E sull’annosa questione dei consulenti, 19 e tutti di sinistra, forse Benini potrebbe provare a riequilibrare le parti, nonostante le inevitabili pressioni cui sarà sottoposta da parte degli amichetti romani del giro minimum fax, colonna einaudiana, Nuovi argomenti. Alla sua prima uscita era visibilmente emozionata, ha parlato poco, con cautela e diplomazia dicendo che la telefonata di sabato scorso (peraltro era il primo aprile) proprio non se l’aspettava. Non ha esitato un momento e ha subito accettato con entusiasmo, impegnandosi ad affiancare Lagioia e imparare da lui (speriamo non tutto). Fatto interessante, Benini non partecipò al bando dello scorso inverno; dunque, il suo nome non è venuto fuori dalla lista dei 53 in cui candidati giusti c’erano ma l’impossibilità di trovare l’accordo li ha così bocciati tutti. Ci si aspettava qualcosa d'imprevisto ed è arrivato, ora la curiosità si sposta sul Lagioia Seven e su quali saranno gli ospiti di maggio che verranno svelati oggi. Benini per il momento non aggiunge altro ma non vede l’ora di cominciare, chissà non si apra davvero una nuova fase per la cultura in Italia. Piccoli passi d’accordo, ma fino all’anno scorso erano impensabili anche quelli.

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