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La sinistra? Storace: proprio non riesce a dirsi anticomunista

di Francesco Storace giovedì 27 aprile 2023

Ricci e Serracchiani

3' di lettura

Ci hanno triturato i cosiddetti per settimane sull’obbligo a dichiararsi antifascisti. Ogni giorno, ogni ora, un esponente del centrodestra si trovava un microfono sul muso con la fatidica domanda, un po’ noiosa, ma insistente: «Sei antifascista?». Hai voglia a dire «guarda che il fascismo è nato cento anni fa e morto ottanta anni orsono» e che «non c’è in nessuna parte del mondo». Niente, il quiz era permanente. Però, guai a chiedere conto agli esponenti della sinistra italiana qualcosa del genere sul comunismo. «Ma lei è anticomunista?».

CHE DOMANDE FATE?! - Domanda giustificata anche dall’atteggiamento della sinistra al Senato che proprio non ce l’ha fatta a votare la mozione del centrodestra che metteva sotto tutti i totalitarismi, nazismo, fascismo, comunismo. I denti dondolano, il volto si arrossisce, la voce trema. E se ne escono con affermazioni che se non fosse per la tragedia che il comunismo ha rappresentato nel mondo e i regimi che ancora oggi governa con le spicce, farebbero sganasciare dal ridere. Anticomunista? Ma non è mica una parolaccia? Rimproverano alla destra di non parlare di antifascismo, ma di anticomunismo non ne vogliono sapere. Fuggono per la tangente, fanno professione di benaltrismo, «il comunismo era in Russia mica in Italia».

Ora, a parte il fatto che gli affari seri li facciamo pure con la Cina, il che è tutto dire, non è che neppure a Cuba o altrove sul pennone ci sia una bandiera rossa ci sia così tanta libertà. E quelli che vogliono abbattere le frontiere degli Stati, quelli che hanno intonato per decenni l’Internazionale, i cantori della globalizzazione, ora pretendono di rispondere solo del “comunismo italiano” che era così buono. Come ha fatto quel campione di Nicola Zingaretti, che da quando è disoccupato di lusso a quindicimila mensili non ha molto da fare in Parlamento, e si è messo a esaltare i comunisti di casa nostra. Ovviamente per la Resistenza, mica per il triangolo rosso dove massacravano i partigiani bianchi.

Il fatto che campassero grazie ai rubli di Mosca è un problema che non sfiora affatto il leggiadro Nicola. Un attore, magari non della stoffa del fratello Luca, ma ci prova il furbetto.
Martedì scorso la lama l’ha affondata Maurizio Gasparri. Il vicepresidente azzurro del Senato aveva di fronte Roberto Speranza nella trasmissione di Floris e non gli pareva vero. È finita con l’ex ministro della Salute che farfugliava. Ha detto Speranza: «Giorgia Meloni ci ha provato questa mattina», riferendosi alla lettera della premier al Corriere della Sera «ma non ci riesce a dire quello che serve. Voi non siete fascisti, perché siamo in un altro tempo, ma non riuscite a dire che siete anti-fascisti».

La risposta di Maurizio Gasparri lo ha steso: «Le sinistre non hanno votato la mozione del centrodestra che condannava fascismo, nazismo e il totalitarismo comunista. Io non ho difficoltà a definirmi antifascista, ma lei si può definire anticomunista?». «Io sono contro il comunismo che c’è stato in Russia». Togliatti e Cossutta chissà che gentiluomini. Manco Fantozzi.

Ma deve essere un vizio nuovo, quello che la sinistra è costretta a ripetere davanti agli schermi televisivi. Gasparri non ha fatto in tempo a cambiarsi d’abito e ieri mattina stava ad Agorà e si è trovato di fronte Matteo Ricci, sindaco Pd di Pesaro. E pure da lui si è sentito ripetere la stessa canzoncina di Speranza: «Io sono anticomunista sovietico, non anticomunista italiano». Una cosa un po’ patetica, diciamo.

L’ultimo exploit lo ha provocato poi il nostro condirettore Pietro Senaldi all’Aria che tira. Myrta Merlino non è riuscita a salvare la povera Debora Serracchiani dalla stessa domanda. L’ex capogruppo del Pd alla Camera ha cominciato a farfugliare per non essere costretta a rispondere.

Quasi le comiche, insomma, se non si trattasse di un’ideologia che ha provocato il più alto numero di morti nel pianeta. Si rifugiano nel comunismo italiano che evidentemente deve aver fatto anche cose buone, ma non incantano più nessuno.

COM’ERANO BUONI... Fior di storici hanno raccontato la guerra civile italiana e nessuno può rivendicare gesti di bontà. C’è semplicemente bisogno di ammettere che la democrazia, ottanta anni dopo, vive col contributo di tutti. Ma non ne hanno la minima volontà ed è forse proprio per questo che preferiscono parlare di Liberazione e non di Libertà. Vogliono il nemico, della Patria non gli interessa nulla. E se proprio serve, si rifugiano in corner schifando Mosca e il suo regime. È un trucco evidente, manifestato dalla balbuzie politica che li fa riconoscere. Ma a che serve?

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