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Immigrazione, la rivolta rossa: Pd, ong e vescovi vogliono più irregolari

di Michele Zaccardi mercoledì 10 dicembre 2025

3' di lettura

Da un lato la sinistra; dall’altro la realtà. Così, mentre l’Unione europea adotta un nuovo approccio nei confronti dell’immigrazione irregolare, sdoganando, potenzialmente, il modello italiano dei centri in Albania, l’opposizione sale sulle barricate. E con essa pure i vescovi italiani. Già perché il governo di Giorgia Meloni non deve guardarsi solo dall’opposizione in Parlamento ma anche da quella delle ong e persino dalla Conferenza episcopale. Che non disdegna aspre critiche all’esecutivo e alla stretta contro i clandestini varata dal Consiglio europeo. Critiche che i vescovi recapitano sia attraverso il loro quotidiano, Avvenire, sia tramite la loro fondazione Migrantes che, con un tempismo quasi sospetto, pubblica un rapporto sull’immigrazione il giorno dopo che il Consiglio europeo ha approvato a maggioranza la stretta sui migranti che confluirà nel nuovo Patto Asilo e migrazione, in vigore il 12 giugno 2026. Ma andiamo con ordine.

L’attacco parte dalle colonne di Repubblica. È la capogruppo Pd alla Camera, Chiara Braga, a lanciarlo: l’accordo sui rimpatri raggiunto a Bruxelles dai ministri dell’Interno «è un passo indietro sui diritti e non cancella l’enorme spreco di risorse» sottolinea. Il rischio, secondo Braga, è che le strutture albanesi non possano diventare dei “return hub”, ovvero hub di rimpatrio, come ha dichiarato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ma semplicemente dei Centri di permanenza per il rimpatrio come quelli già presenti in Italia. «Il rischio è questo» spiega Braga. «C’è stato uno spreco di risorse che continuerà ad esserci. Sono stati costruiti due centri e uno di questi è praticamente sempre stato chiuso mentre l’altro è costantemente sottoutilizzato» aggiunge. «Non a caso lo sperpero è stato denunciato non solo dalle visite e dalle ispezioni ripetute fatte dai parlamentari del Pd, ma anche da segnalazioni agli organi di controllo, dalla Corte dei conti all’Anac».

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Anche un altro deputato dem, Matteo Orfini, va all’attacco. «Il nuovo accordo sulle politiche migratorie non può stravolgere i principi del diritto d’asilo. Le modifiche approvate a livello Ue non rimuovono questo limite e non legittimano operazioni che restano in evidente contrasto con i fondamenti del diritto internazionale» dichiara il parlamentare. «Presentare questo accordo come la soluzione che sblocca e sdogana i centri in Albania è semplicemente fuorviante» puntualizza Orfini, secondo cui «quei centri non potranno funzionare nemmeno dopo l’intesa europea: restano uno dei più grandi fallimenti del governo Meloni, uno spreco di denaro per strutture destinate a rimanere sottoutilizzate».

Pure la Ong Mediterranea si scaglia contro la stretta Ue. E con sprezzo del ridicolo tira in ballo persino il totalitarismo. «L’insieme delle norme decise rappresenta un gravissimo attacco, forse il più grave della nostra storia, al diritto di asilo» si legge in una nota. «Ancora una volta, di fronte a un fenomeno profondamente umano, si sceglie di rispondere con strumenti repressivi, burocratici e punitivi, che ignorano i diritti fondamentali delle persone» prosegue Mediterranea, ricordando, non si sa bene a quale proposito, che «è proprio del totalitarismo ridurre gli individui a masse senza voce».

Ma l’attacco più pesante arriva dalla Chiesa, con una manovra a tenaglia. La prima pagina di Avvenire dice tutto: “L’Ue chiude le porte” è il titolo che campeggia. Mentre l’editoriale si intitola “La vera forza resta includere”. La critica principale riguarda l’idea espressa da Donald Trump che vede la civiltà europea destinata alla cancellazione pervia dell’immigrazione incontrollata. E il succo è: non c’è nessuna emergenza immigrazione, anzi di migranti ce ne vorrebbero di più.

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L’altro affondo viene dalla fondazione Migrantes, l’ente della Conferenza episcopale che si occupa di fenomeni migratori, che dedica uno dei capitoli del suo consueto rapporto al cosiddetto modello Albania, definendolo come un’esperienza «ai margini della democrazia». Modello che è invece considerato un apripista da altri Paesi europei. Nel dossier si evidenzia come «il progetto rappresenti un laboratorio per l’estensione extraterritoriale del controllo e una messa in scena del potere sovrano sui corpi migranti». Migrantes sostiene poi che il progetto sia segnato da una «opacità sistemica» alimentata «dall’esclusione di media e società civile». E poi si spiega che «il modello Albania, piuttosto che essere un “mostro” isolato, va collocato nel continuum delle politiche europee di esternalizzazione, come un banco di prova per la tenuta dei principi democratici e giuridici dell’Unione».

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