Alessandro De Nicola presidente dell’Adam Smith Society è un liberista d’acciaio che scrive per La Stampa, quotidiano bello ma di piglio antimeloniano spinto e di idee diametralmente opposte alle sue. Sul quotidiano torinese De Nicola propone una nuova «privatizzazione Rai» che «dovrebbe essere pensata attraverso una quotazione in borsa, possibilmente con dei limiti ai tetti azionari. Ovviamente, senza canone la Rai non è appetibile e perciò sarebbe necessario un'iniezione di capitale da parte del governo e libertà di gestione da parte della nuova dirigenza». E aggiunge: «E il servizio pubblico? Se intendiamo canali tipo RaiNews, Rai Storia, trasmissioni di servizio, programmi culturali e poco altro, si potrebbe metterlo all'asta ad un decimo dell’attuale canone: 170 milioni alla società che lo gestisce rispettando certi standard». La sua proposta è affascinante. Rai privata e fuori dalla grinfie dei partiti; ed è simile a quella che Libero predica da oltre un ventennio. Ottimo, direi.
Ma, al di là dell’attuale fattibilità dell’operazione, qui ci si chiede: perché questi temi emergono prepotentemente solo ora che la sinistra è fuori dai giochi lottizzatori (anche se poi, attualmente, nove posti su dieci delle direzioni di genere sono in mano al centrosinistra, il «riequilibrio» non è poi così devastante e solo cinque vanno al centro destra)? In una puntata di Otto e mezzo della Gruber si faceva notare a Roberto Zaccaria che quando nel 1998-2002 era presidente Rai, la percentuale delle direzioni assegnate alle opposizioni e al governo era più o meno la stessa di oggi. Zaccaria non ha potuto smentire. Ha motivato, di fatto che «la lottizzazione ai tempi era fatta meglio e aveva uomini migliori». Il che può essere. Ma non è un argomento esattamente congruo.
Perchè- parliamoci chiaro- da sempre la tv di Stato, legittimata definitivamente nel ’98 dalla legge sullo spoil system di Franco Bassanini (di sinistra!) è specchio del Paese, e riflette gli equilibri di potere del governo. La spartizione in Rai è sempre stata democratica, checchè ne dicano Repubblica o la Stampa che lì ci hanno sempre comunque piazzato legittimamente le loro firme (De Gregorio o Giannini, per esempio).
Nelle direzioni generali Cappon, Celli, Campo Dall’Orto, a sinistra valgono politicamente Saccà, Cattaneo (i migliori dg di sempre), Masi a destra. O Salini per il M5S. E coloro che ora denunciano la spartizione selvaggia delle sedie da anchorman – come Michele Serra, o ancora Massimo Giannini ai tempi di Ballarò o Lucia Annunziata o lo stesso Michele Santoro- sono stati essi stessi il frutto di una vibrata lottizzazione. Lamentarsi ora equivale al fastidio di non esserci...