Un congresso con un solo candidato. Modello Cina. È quello che potrebbe accadere nel Pd del Lazio, se non si risolve il pasticcio delle ultime ore. Riepiloghiamo: la data delle primarie è fissata da tempo: 18 giugno. Solo che, al momento, il candidato è uno solo: Daniele Leodori, fedelissimo di Nicola Zingaretti, di cui è stato il vice in Regione Lazio e che è sostenuto praticamente da tutte le correnti dem. L’altro sfidante, Mariano Angelucci, ha, infatti, deciso di sospendere la propria candidatura. «Visto il caos con cui si sta gestendo il congresso del Lazio», ha spiegato ieri, «mi sospendo da una competizione dove si cambiano le regole in corsa. Valuterò se proseguire la corsa solo dopo un chiarimento con la segretaria Schlein e il presidente Bonaccini che spero arrivi oggi stesso». Fino a ieri sera, però, nessuno dal Nazareno lo ha chiamato.
LA POLEMICA
A scatenare la reazione di Angelucci è quello che è accaduto a cavallo del ponte del 2 giugno. Inizialmente, spiega a Libero, i due candidati, lui e Leodori, per tramite dei loro delegati alla commissione congressuale, si erano accordati per saltare la fase di votazione degli iscritti (che sarebbe dovuta iniziare il 30 maggio) e andare subito alle primarie (18 giugno). La prima fase, infatti, serve per scremare le eventuali candidature e consentire ai primi due di passare al voto delle primarie.
Ma visto che i concorrenti erano due, si erano detti, che senso ha? Dice Angelucci: «Sarebbe stata una umiliazione per gli iscritti, oltre che uno sforzo organizzativo inutile per i circoli che poi dopo due settimane si sarebbe dovuti impegnare di nuovo per organizzare le primarie». I due delegati, d’amore e d’accordo, firmano, quindi, un emendamento che sarebbe dovuto essere approvato dall’assemblea in programma il 31 maggio. Quindi, mandano una lettera alle varie federazioni per informarle: niente voto tra gli iscritti, si va direttamente alle primarie, come ratificherà l’assemblea. Solo che l’assemblea viene disdetta. «E», accusa Angelucci, «mai più convocata».
Il giorno dopo si manda una nuova comunicazione ai circoli informandoli che si torna all’antico: votazione tra gli iscritti e poi primarie. «Io sono del Pd da quando avevo venti anni, ho fatto parte di tutti gli organismi, non ho mai visto una roba così. E in tutto questo non c’è stata una parola della segretaria odi chi per lei». Alla regole, poi, si aggiunge un problema più generale: «Abbiano perso le elezioni nazionali, regionali, tutti i capoluoghi e tutte le maggiori città del Lazio esclusa Roma. Nonostante questo, Leodori e tutto quel gruppo dirigente che ha governato e fatto tutte le scelte politiche cha hanno determinato queste sconfitte si è candidato a governare il partito. C’è la legittimità e poi c’è l’opportunità politica». Che fine ha fatto, si chiede, poi, affondando la lama, la promessa fatta dalla segretaria Elly Schlein, di voler far piazza pulita di “capi-bastoni, cacicchi e signori delle tessere?». La versione degli altri è che Angelucci «ha paura di confrontarsi con gli iscritti perché sa di non avere radicamento», «cerca solo visibilità». Lui replica: «Se avessi avuto paura di confrontarmi, non mi sarei candidato nemmeno alle primarie».
LITE IN PARLAMENTO
E il Lazio è solo una grana delle tante che, in questi giorni, stanno (metaforicamente) riempiendo i quaderni di appunti di Schlein. L’altro è il completamento degli uffici di presidenza delle due camere. Oggi alle 18 è convocata la riunione dei senatori e il puzzle dovrebbe essere completato: ad affiancare Francesco Boccia, dovrebbero esseri Alfredo Bazoli (quota cattolici) e Beatrice Lorenzin, entrambi in quota Bonaccini, poi Franco Mirabelli (quota Franceschini) e Antonio Nicita (per i neo ulivisti). In alto mare, però, è il gruppo della Camera. Schlein non vuole riconfermare Piero De Luca, figlio del governatore della Campania. Al suo posto vorrebbe Andrea De Maria, mentre sarebbe confermata Simona Bonafé. In quota sinistra Valentina Ghio. Oggi nuova riunione del gruppo alla Camera dopo l’assemblea congiunta di deputati e senatori in programma alle 10. Ciliegina sulla torta, le parole pronunciate, ieri, da una delle fondatrici del Pd, Rosy Bindi: «Se capissi cosa sta accadendo nel Pd forse mi riscriverei al partito» ha detto ospite di Un giorno da Pecora, Rosy Bindi. «Avevo parlato di scioglimento, mi hanno bastonata per averlo detto, ma di fatto questo è successo». Che consiglio darebbe ad Elly Schlein? «Aprirsi. Non stia solo nella classe dirigente che l’ha eletta, apra le porte e le finestre».