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Berlusconi, la commedia dantesca: dall'insonnia ai sogni, ciò che non sapevamo

di Pietrangelo Buttafuoco venerdì 16 giugno 2023

4' di lettura

Per gentile concessione dell’autore e dell’editore Longanesi pubblichiamo uno stralcio del nuovo libro di Pietrangelo Buttafuoco «Beato lui. Panegirico dell’arcitaliano Silvio Berlusconi» in libreria dal 19 giugno. È un saggio di critica letteraria sul personaggio-capolavoro che l’Italia consegna al mondo.

(...) È la famedi vita, infatti, a impedirgli di dormire più di qualche ora. Dorme e una voce dentro di sé lo sveglia per spingerlo al qualcosa di bellissimo che solo lui – generatore di sogni qual è solo lui, per l’appunto, può fare: «Io sono il sogno degli italiani». Mai con un’apnea è il suo riposo, men che meno un ronfo o un brutto sogno. Nella ninna, Silvio assume il soma avvolgente di un peluche. Così lo raccontano le ragazze che hanno dormito con lui. Nel restare tra le sue braccia, queste favoleggiano di una pace e di un soave sortilegio che a evocarlo nel dopo le strugge di dolcezza. E mai al fine – a detta loro – così in veglia, come nel sonno egli tradisce un moto di infelicità.

Nemmeno nel caso di problemi di salute personali che pure ha affrontato. Si segna nel segno della Croce – memoria della sua solida educazione –, calza le pantofole, agguanta l’accappatoio bianco e dice grazie, il Deo Gratias dei bravi allievi salesiani. Silvio gode, infatti, il privilegio ambito da tanti: vivere la vita di Berlusconi. All’epoca del cartaceo s’avviava alla nanna leggendo i quotidiani dell’indomani. Un brav’uomo incaricato di leggergli i giornali evidenziava in giallo il nocciolo di ogni articolo. La rassegna stampa, accuratamente rilegata, la trovava a fianco del letto ma a volte - negli anni del governo- poco prima del sonno Silvio si concedeva ancora un’uscita fuori dalle mura. A passettini lesti si dirigeva all’edicola all’angolo di largo Chigi dove gli capitava d’incontrare direttamente i giornalisti reduci dalle rispettive redazioni per farsi raccontare i retroscena della giornata appena trascorsa e immancabilmente egli aveva quello che nessuno di loro aveva pubblicato.

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L’AGENDA
Nella giornata di Silvio si contemplano: la giornata a Roma, che è quella da capo politico; quindi quella di Milano, che è quella da capo azienda; quella in Sardegna, infine, che è quella da capo villaggio, sovrano beato – beato lui – della più sfolgorante tra le villeggiature. La sua giornata è propria del regno delle possibilità infinite e tra queste ci sono le giornate in Provenza, da figlio di sua figlia – l’erede sua, Marina – che con febbrile amore ne sorveglia la voglia di fare, fare e sempre fare. Sfinendosi, sotto i colpi dell’età e di ogni fare.

Nel periodo d’oro, cioè quando viveva a Milano, in via Rovani, fino ai primi anni di Arcore, il suo ruolino di marcia è tutto di appuntamenti, incontri motivazionali e mai vere e proprie «riunioni operative». Nella giornata di Silvio tutto – da sempre – è incanalato nel binario del rapporto personale e della persuasione. Da ancora prima della sua vita pubblica, cena sempre nei soliti posti con amici (sempre gli stessi) e con donne (sempre diverse, ma sempre bionde). Astemio, reclama sempre lo stesso menù. Da quando esiste Arcore la cena si svolge ad Arcore. E i giorni della settimana sono classificati in base agli incontri ciclici.

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LA SETTIMANA
Il pranzo del lunedì - e in generale tutta la giornata del lunedì- è dedicato alla famiglia o agli amici strettissimi che sono i soliti tre, uno dei quali d’educazione siciliana. Solitamente il venerdì era dedicato al giro nelle aziende. La domenica, va da sé, operosa. Fosse pure per fare due passi nel parco, a controllare il funzionamento del gruppo elettrogeno, dove comunque incontra qualcuno degli addetti alla manutenzione che gli dà il buongiorno chiamandolo «Dottore». Questo titolo permane nei primi giorni del debutto al Governo. L’insolito inquilino di Palazzo Chigi chiama con sé - negli uffici del Gabinetto - la sua segretaria di sempre, una formidabile professionista però digiuna dei codici propri di una Istituzione.

Smista, questa, le chiamate, gli appuntamenti, ma quando a un membro del Governo che attende al telefono dice «il Dottore è in linea», a chiedere di conferire con Berlusconi c’è il ministro per i Rapporti con il Parlamento, un raffinato architetto della battaglia politica qual è Giuliano Ferrara, che nel sentire quell’appellativo decisamente fuori contesto ha uno scatto di nervi. Ed è l’occasione, quella, per dettare alla segretaria i fondamentali in tema di luogo e ruolo: «Ella mi sta passando il presidente del Consiglio, non un dottore; in questa sede, non c’è una fabbrichetta ma il Governo del Paese». Anzi, no, non disse – e la memoria ci soccorre – «Paese», il signor ministro sibilò ben distintamente la parola «Nazione», e dunque disse: «il Governo della Nazione». Aggiungendo: «E lui o non è lui il Signor Presidente del Consiglio? 

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