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Pd terrorizzato da Elly Schlein: quali poltrone rischiano di perdere

di Fausto Carioti martedì 20 giugno 2023

3' di lettura

Doveva essere il giorno in cui Elly Schlein ricomponeva la frattura, spiegando ai dirigenti del Pd il perché di certe sue scelte, incomprensibili anche agli occhi di molti di coloro che l’hanno sostenuta. Ultima, quella di partecipare alla manifestazione in cui Beppe Grillo ha invocato l’uso del passamontagna e il drammaturgo Moni Ovadia ha difeso Vladimir Putin. È stato invece il giorno in cui la frattura si è allargata, tanto che nessuno nasconde più la gravità della situazione. Anche i democratici che sinora hanno concesso alla segretaria il beneficio del dubbio hanno preso atto che il loro vero problema non è Giorgia Meloni, mala leader del loro partito, che vive in una realtà politica tutta sua (nelle chat dei parlamentari piddini «il fantastico mondo di Elly» è ormai un genere letterario a parte) e non ha alcuna intenzione di uscirne: si assolve, anzi si promuove a pieni voti.

LO SPETTRO DEL PASSATO
«Siamo qui per restare», dice agli altri della direzione del Nazareno, e suona come una minaccia. L’uso del plurale è necessario perché la Schlein non parla solo per sé, ma per tutta la squadra che l’ha accompagnata nella scalata ostile al partito e ora l’affianca: reduci di Articolo Uno e dei movimenti a sinistra del Pd, come Marco Furfaro, Sandro Ruotolo e Paolo Ciani. Anche stavolta il discorso della Schlein non contiene sostanza e si riassume nella solita ricerca di un nemico da demonizzare che consenta al Pd di definire la propria identità. Silvio Berlusconi non c’è più e la Meloni gioca in un’altra categoria: a portata di mano le resta solo Matteo Renzi, e infatti è con lui che se la prende. La segretaria venuta dall’Altrove rischia però di uscire a pezzi dal confronto con lo spauracchio del passato. Renzi è quello che alle prime elezioni europee da capo del Pd, nel 2014, prese il 41%: più del doppio di quanto è quotato adesso il partito, fermo nei sondaggial 20% dopo cento giorni di segreteria Schlein.

Proprio qui, e nel voto che si terrà tra un anno, è la ragione della grande angoscia dei piddini. Statuto alla mano, il mandato della segretaria durerà sino al 2027, e da ora alle Europee, con tutto il rispetto per il Molise, non sono previste elezioni che possano giustificare la sostituzione in corsa della Schlein in caso di batosta, né rafforzare la sua posizione qualora le vincesse. Il Pd pare quindi destinato a presentarsi alle elezioni per il rinnovo del parlamento di Strasburgo così com’è oggi, guidato da una leader che già nella fase iniziale, quella di solito più semplice, si è dimostrata incapace di smuovere gli elettori, non ha saputo dare una linea coerente sui temi più importanti, come il sostegno militare all’Ucraina, e ha inanellato una gaffe dietro l’altra. E nessuno, tra i democratici, sembra credere che l’«estate militante» da lei annunciata ieri possa invertire l’andazzo.

DIGIUNO E IRRILEVANZA
Ma per un Pd che ha davanti la prospettiva concreta di farsi altri quattro anni e mezzo all’opposizione in Italia, quelle elezioni sono l’ultima ciambella di salvataggio. Pure nei momenti peggiori, esso ha potuto contare sulla presenza dei suoi nei posti chiave di Bruxelles e Strasburgo: Federica Mogherini, Paolo Gentiloni, lo scomparso David Sassoli. Solo chi governa in patria o prende molti voti alle Europee, però, può ambire a simili nomine: la prima circostanza è già esclusa, la seconda rischia di non verificarsi nel 2024. Per una forza incapace di stare lontana dal potere si prospetta così l’incubo peggiore: quello del digiuno prolungato e dell’irrilevanza politica.

E la consapevolezza che, se ciò accadesse, il pericolo successivo sarebbe quello dell’estinzione. Per questo nel Pd iniziano a sentirsi certi discorsi. Come quello che faceva ieri un deputato dalla buona memoria: «Nessuno dei nostri segretari è durato sino alla fine del mandato. Veltroni, Franceschini, Bersani, Renzi, Zingaretti, Letta: tutti si sono dimessi prima della scadenza. Sarebbe strano che la Schlein fosse un’eccezione, visto anche come è partita...». Ragionamenti che di regola spuntano dopo un anno o due dall’insediamento del segretario, non dopo cento giorni. Ma tra un anno si vota per l’Europa, e dopo potrebbe essere troppo tardi.

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