Capo della Lega in Piemonte, dove è appena stato riconfermato all’unanimità segretario regionale, e capogruppo alla Camera dei deputati: Riccardo Molinari, salviniano doc, è la prova che il doppio incarico può funzionare e soprattutto che la leadership del Capitano non è in discussione, visto che nei congressi locali, a eccezione di qualche tensione in Veneto, non c’è stata partita. «I congressi non erano un sondaggio sul segretario federale», precisa Molinari, «e se ci sono state divisioni in Veneto erano legate alla gestione locale del partito, non certo a dinamiche nazionali». In quanto alle Regionali piemontesi, che si terranno il prossimo anno, il Carroccio sosterrà il governatore uscente, Alberto Cirio: «Per noi ha lavorato bene e squadra che vince non si cambia».
Onorevole Molinari, nel 2024 si vota anche per le Europee e oggi gli occhi sono puntati sull’incontro tra Matteo Salvini e Marine Le Pen, vostra storica alleata. Il leader della Lega è stato chiaro: «Vogliamo unire tutto il centrodestra, dal Ppe, ai liberali, ai conservatori, ai federalisti». Come pensate di fare?
«Nessuno ha detto che sia un’impresa facile e il tema del nostro collocamento europeo è stato affrontato in un direttivo della Lega al termine del quale si è deciso di non cambiare gruppo ma di restare in Identità e Democrazia, insieme a Rassemblement National della Le Pen e ai tedeschi di Afd. E se la linea per noi è questa, dobbiamo però stringere alleanze se vogliamo che il centrodestra vinca a Bruxelles e l’Europa cambi in meglio».
Dovete convincere la Le Pen e i tedeschi di Alternative für Deutschland (Afd) ad allearsi con i Popolari?
«Più che altro convincere i Popolari e i Conservatori a stare con la Le Pen e Afd! È questa la cosa più ostica».
In palio c’è la guida dell’Unione. E senza socialisti del Pse di mezzo.
«Esatto. Bisogna stringere un patto di tutto il centrodestra, cui aggiungerei il centro di Renew Europe».
Salvini propone un patto scritto ai partiti della maggioranza affinché non cambino casacca. Vuole fare come la Meloni con il patto anti-inciuci dei suoi parlamentari?
«È giusto. Portarli al banco, cioè al “vedo”, e fare loro siglare un accordo in cui si impegnano a non allearsi con chi porta avanti politiche ideologiche scellerate per noi, come le direttive sulle case green, sul packaging o l’auto elettrica e contro la nostra agricoltura: è un modo per suggellare un impegno politico serio e allo stesso tempo escludere l’intesa con i socialisti. Quindi, ciò che propone Salvini è l’unica piattaforma possibile per superare i vari veti che ci sono».
La Cdu starà con Afd?
«È chiaro che ci sono delle difficoltà. Così come i gollisti francesi hanno pochissima voglia di sedersi al tavolo con la Le Pen e l’unico accordo che si può fare è sui temi, ma questo tentativo va fatto, è la sola via perseguibile».
Ursula von der Leyen cerca il bis al vertice della Commissione. L’appoggerete?
«Come sempre dipende dalla piattaforma e dal programma. Lei ha fatto capire che vorrebbe essere rieletta, ma se spera in una maggioranza Ursula, cioè con liberali e socialisti, non ci siamo. Non è un tema di persone, ma di programmi».
Il Consiglio europeo è fallito per il veto di Polonia e Ungheria. Però l’Italia gioca da protagonista con una linea sui migranti che potrebbe essere tradotta con un vostro vecchio slogan: “Aiutiamoli a casa loro”. È così?
«Intanto bisogna fare i complimenti al ministro dell’Interno Piantedosi per l’accordo del precedente Consiglio sul rafforzamento dei confini esterni.
Quello che deve fare l’Europa non è tanto stabilire le quote per ridistribuire i migranti, quanto non farli arrivare. Poi c’è una linea comune sul riconoscimento dello status di rifugiato alla frontiera e importanti sono anche gli accordi lasciati ai singoli Paesi per i rimpatri. Polonia e Ungheria condividono la parte dell’incontro sui confini esterni, non sulla redistribuzione e sulla “tassa” di 20mila euro i mancati ricollocamenti. Ora sarà Giorgia Meloni a fare una mediazione, ma la base di partenza di Piantedosi è giusta».
Un altro punto centrale sarà convincere il Fondo Monetario a finanziare la Tunisia.
«Per noi questo è fondamentale e in politica estera il governo Meloni si sta muovendo molto bene».
L’Italia rischia i disordini che vediamo in Francia?
«Spero di no, ma chi ci criticava oggi si trovala guerra civile in casa. È evidente che l’integrazione di tutti non ci può essere, soprattutto se non è fondata su valori comuni».
Il centrosinistra dice che c’è un grave problema sociale e insiste sul salario minimo. È una soluzione?
«No. Dal nostro punto di vista rischia di diventare esattamente come il reddito di cittadinanza: un benchmark verso il basso. Se fisso per legge una cifra, prima di tutto tolgo potere alla contrattazione collettiva, e infatti secondo me è una norma anti-sindacale, poi vanno trovati strumenti legislativi per estendere le tutele dei lavoratori all’interno dei contratti collettivi. È uno strumento troppo rigido. In sostanza, il nostro punto di vista è più pro-sindacati di quello della sinistra».
È appena entrato in vigore il Codice degli Appalti di Salvini. Cosa replica a chi dice che è un regalo agli evasori?
«Casomai è un regalo ai cittadini, ai sindaci e agli amministratori a cui dà fiducia e più libertà. Allinea le normative italiane a quelle europee semplificando gli affidamenti diretti, le contrattazioni senza bando, ovviamente trasparenti e regolamentate. I controlli ci sono e chi sbaglia va sanzionato, ma non si può avere una normativa che parte dal presupposto che chiunque fa l’amministratore sia un bandito».
Mercoledì in Senato c’è l’informativa del ministro del Turismo Santanchè. L’opposizione presenterà una mozione di sfiducia?
«Non credo proprio. Primo perché non hanno i numeri, secondo perché sanno che è il modo migliore per ricompattare la maggioranza».
Il governo teme qualcosa?
«Non vedo tensioni all’orizzonte, non certo interne. I problemi possono venire, casomai, da fuori: immigrazione, disagio sociale, trattativa sul Pnrr, ma la solidità del centrodestra è fuori discussione».