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Giustizia, Antonio Tajani: "Magistrati ed Europa non si intromettano"

di Fausto Carioti martedì 11 luglio 2023

 Antonio Tajani

7' di lettura

Antonio Tajani, ministro degli Esteri, si gode i numeri dell’economia italiana che arrivano sul suo cellulare. «A fine anno l’Italia registrerà una crescita cumulata del 5% nel biennio 2022-23. Vuol dire che supereremo del 2,2% il Pil del 2019. Molto buono. Siamo l’economia europea del G7 che va meglio. Germania, Regno Unito e Francia sono dietro di noi». Tra pochi giorni la vita del ministro degli Esteri cambierà. Almeno un po’, forse parecchio.

Da quando Forza Italia è nata ha avuto un solo presidente. Il 15 luglio toccherà a lei. Una responsabilità enorme.
«Mi sento molto sereno. So bene che sarà un lavoro difficile e che Silvio Berlusconi non ha eredi. Se sabato i miei colleghi del consiglio nazionale mi daranno la loro fiducia, dovrò condurre la nave costruita da lui nel mare della politica italiana».

Destinazione?
«Cercherò di trasformare i sogni di Berlusconi in realtà. Completare la riforma della giustizia, la riforma fiscale e la riforma della burocrazia, che erano i suoi tre grandi impegni. Ma sarà un lavoro da fare insieme. Dovrò guidare una squadra di donne e uomini all’insegna dell’unità, coinvolgendo tutti: parlamentari, dirigenti ed eletti negli enti locali. Dovremo avere un’organizzazione più efficiente, essere più presenti e all’altezza dell’eredità che Berlusconi ci ha lasciato».

Anche perché tra un anno si vota per le Europee, e lì Forza Italia si gioca tutto.
«Faremo una mobilitazione straordinaria ben prima di allora. All’inizio di settembre ci sarà la tre giorni del movimento giovanile che si svolgerà a Gaeta. Poi il 28, 29 e 30 settembre, altri tre giorni a Paestum, stavolta organizzati dal partito».

Con enfasi sul 29 settembre.
«Sarà il Berlusconi Day, l’anniversario della sua nascita. E in tutte le regioni ci sarà un evento di Forza Italia. Siamo convinti di avere davanti un grande spazio politico. Anche grazie al Pd, che si sta spostando sempre più a sinistra. E poi offriamo al centrodestra una classe dirigente che merita di essere valorizzata: gli ultimi esempi sono i sindaci di Ancona e Brindisi e il presidente della Regione Molise».

Quanto durerà il suo incarico di presidente?
«Chiunque sarà eletto, dovrà guidare Forza Italia sino al congresso nazionale, che avrà il compito di eleggere il leader politico. Mi auguro si possa fare prima delle elezioni europee».

Pier Silvio Berlusconi ha ammesso di essere tentato dall’entrata in politica. Non sarà oggi, ma potrebbe essere domani. Cosa rappresenta l’amministratore delegato di Mediaset per lei e per Forza Italia?
«La famiglia Berlusconi ci ha mostrato grande vicinanza sin dall’inizio e continuerà a farlo. Ce l’hanno detto in maniera diretta, sin dal primo giorno, e continuano a ripetercelo. Come ha ricordato Marina qualche tempo fa, Forza Italia è una delle realizzazioni più importanti di Silvio Berlusconi, e questo ci riempie di soddisfazione. Il modo in cui impegnarsi, poi, lo decideranno loro. Di sicuro, qualunque sia la forma, per noi il loro sostegno è importante».

Degli attuali partiti di governo, Forza Italia è stata a lungo l’unico garantista. Una scelta ribadita nel documento politico preparato per il consiglio nazionale, in cui chiedete «una profonda riforma del sistema giudiziario». Nell’attenzione che certi magistrati stanno dedicando ad alcuni esponenti del governo vede il tentativo di impedire quella riforma?
«I fatti di questi giorni mi lasciano molto perplesso e non fanno che confermare la bontà delle nostre idee. La riforma della giustizia è un impegno che abbiamo preso con gli elettori e noi di Forza Italia ne parlavamo già nel 1994, prima che a Berlusconi arrivasse quell’avviso di garanzia durante la conferenza internazionale sulla criminalità a Napoli. I cittadini sotto processo devono avere più garanzie, la nostra cultura giuridica poggia su principi garantisti come “in dubio pro reo” e “nulla poena sine lege”».

L’Anm, il sindacato delle toghe, sostiene che l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio sarebbe una scelleratezza.
«Prendiamo atto che l’Associazione nazionale dei magistrati esprime un giudizio contrario all’abolizione dell’abuso di ufficio. Bene. Sappiamo anche che ci sono centinaia di sindaci di ogni partito favorevoli all’abolizione di quel reato, che è ridicolo e paralizza le attività amministrative. La decisione spetta al potere legislativo, che è in capo al parlamento. Il potere giudiziario non deve fare le leggi né interferire nella loro formazione: il suo compito è quello di applicarle ed amministrare la giustizia».

Nel programma elettorale del centrodestra c’era la «separazione delle carriere». La farete, anche se dall’Anm vi accusano di usarla come strumento punitivo?
«Certo. Per noi la separazione delle carriere è fondamentale, e non per punire i magistrati. Le riforme della giustizia devono dare maggiore coerenza ed efficienza al sistema e sono sicuro che saranno bene accolte e sostenute da tutti quei magistrati che adempiono alla loro missione con equilibrio e autonomia. La separazione delle carriere è necessaria per avere un processo equilibrato, nel quale la pubblica accusa è sullo stesso piano della difesa e un giudice terzo decide. Se il giudice sino a poco tempo prima ha fatto il pubblico ministero e magari ha condiviso l’ufficio con il titolare dell’accusa, come fa il cittadino sotto processo a sentirsi garantito?».

Resta il fatto che anche il commissario europeo alla Giustizia, il belga Didier Reynders, il cui partito appartiene alla famiglia “macroniana” di Renew Europe, si dice «preoccupato» per l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio.
«Un commissario Ue può benissimo non essere d’accordo con le scelte adottate dai singoli Stati: a me è successo tante volte, quando ero commissario. Ma se la competenza della materia è degli Stati, non c’è nulla da fare.La Commissione europea può intervenire nella vita degli Stati membri solo quando c’è una violazione dei trattati, e l’abolizione del reato d’ufficio non lo è. Il commissario alla Giustizia può dire la sua: è un’opinione rispettabile, che io non condivido. E di certo non spetta a lui scrivere il codice penale italiano».

Sinora i rapporti del governo con la commissione Ue sono stati buoni: sta cambiando qualcosa con l’avvicinarsi del voto europeo?
«Mi auguro proprio di no. La Commissione non può interferire nelle campagne elettorali e un partito politico deve essere libero di criticarla. Forza Italia, sulle questioni ambientali, ha in parlamento una posizione diversa da quella del commissario per il Clima, Frans Timmermans: è del tutto legittimo e continuerà ad averla».

Con quelli di Renew Europe dovrete allearvi, se volete cambiare la maggioranza nel parlamento Ue e crearne una, come si legge nel documento di Forza Italia, «costituita da famiglie di partiti omogenee: i Popolari, i Liberali, i Conservatori». I liberali, al momento, questa affinità con i conservatori guidati da Giorgia Meloni non la vedono.
«Credo che anche in Europa si debbano avere maggioranze omogenee, composte da forze politiche che hanno condiviso un percorso. E la coalizione tra popolari, liberali e conservatori si è concretizzata già nel 2017, quando fui eletto presidente del parlamento europeo sconfiggendo il candidato socialista. È un progetto per il quale, ovviamente, serviranno i numeri: vedremo cosa decideranno i cittadini. Di certo, è l’unica maggioranza alternativa a quella attuale».

Secondo le proiezioni, difficilmente i numeri ci saranno. Bisognerà coinvolgere altri. Magari del gruppo di Identità e Democrazia, quello della Lega.
«Secondo me a questa maggioranza si può aggregare la Lega, ma non altri. Perché nessuno è disposto a fare alleanze con Alternative für Deutschland e col Rassemblement National di Marine Le Pen».

Come invece vorrebbe Matteo Salvini. Perché questo veto?
«È una impossibilità oggettiva: con quei partiti non è possibile creare nessuna maggioranza, come sa chiunque conosca l’Europa».

Cosa rende impossibile allearsi con loro?
«AfD e il Rassemblement National non sono al governo, e siccome sono i governi nazionali ad indicare i commissari europei, non potranno avere un commissario. Per lo stesso motivo non hanno alcun membro nel Consiglio europeo, la cui maggioranza è necessaria alla commissione. E poi nel programma di AfD c’è l’uscita dall’euro e in quello della Le Pen si ipotizza l’uscita dalla Nato. Sono due partiti contrari all’Europa e non si può governare un’istituzione insieme a qualcuno che ne contesta l’esistenza».

Nei popolari e nei liberali c’è chi non vuole accordarsi nemmeno con alcuni partiti conservatori. Come i polacchi di Diritto e giustizia, il partito del premier Mateusz Morawiecki, alleato della Meloni.
«Diritto e Giustizia è al governo della Polonia e ha votato per Roberta Metsola e per Ursula von der Leyen. Situazione diversissima da quella di Alternative für Deutschland e del Rassemblement National, che si sono esclusi da soli, con le loro posizioni».

Se popolari, liberali e conservatori non avranno i numeri non resterà che allargare ai conservatori la “maggioranza Ursula”, quella attuale, che comprende i socialisti.
«Intanto la “maggioranza Ursula” non è un accordo tra Ppe e socialisti, come qualcuno la presenta, ma il frutto di un’intesa per non dare ai socialisti la presidenza della commissione. La popolare von der Leyen è diventata presidente perché abbiamo voluto impedire che lo diventasse il socialista Timmermans, sul cui nome era già stato raggiunto l’accordo. Lo rivendico: sono stato io a telefonare a Salvini per chiedergli di chiamare Giuseppe Conte, col quale governava, affinché il M5S togliesse l’appoggio a Timmermans. E la von der Leyen è stata eletta anche con i voti di alcuni partiti conservatori».

Premesso questo?
«Premesso questo, in politica bisogna essere pragmatici e io credo che il primo obiettivo sia impedire alla sinistra di vincere. All’epoca l’accordo per eleggere la von der Leyen fu migliore di quello per eleggere Timmermans. Tra un anno vedremo quale sarà il migliore accordo possibile».

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